In Spagna niente più cani davanti ai supermercati e pene severe per i padroni negligenti: luci e ombre della legge sul benessere animale
Gli oltre 29 milioni di animali da compagnia che vivono in Spagna ora hanno una tutela in più: la “pioneristica” (così la definiscono i suoi promotori) legge sul benessere animale. Una difesa che riguarda anche molti degli animali (ma non tutti) affidati alle cure umane, anche se non domestici. In vigore dallo scorso settembre, la norma stabilisce sanzioni più severe per i proprietari inadempienti o per chiunque faccia loro del male. Un esempio? Il legislatore punisce gli abusi con più di 12 mesi di reclusione, che diventano 36 in caso di morte, prevedendo anche sanzioni da 500 a 200mila euro.
Basta con i cuccioli in vetrina
È vietata nei negozi la vendita di cani, gatti e furetti (acquistabili solo negli allevamenti certificati o adottabili da enti no-profit). I proprietari di cani devono frequentare un corso di formazione online gratuito e sono obbligati ad un’assicurazione di responsabilità civile. Per prevenire l’abbandono, le compagnie di navigazione, le compagnie aeree e i treni dovranno ora adottare misure per facilitare l’accesso degli animali domestici, a patto che il proprietario rispetti le misure di sicurezza e garantisca il comportamento corretto dell’animale.
“Non lasciarmi solo”
Vietato lasciare incustoditi gli animali per più di tre giorni, periodo che nel caso dei cani si riduce a 24 ore. È limitata la loro permanenza su terrazzi e balconi, e non è più consentito lasciare i cani soli, anche se legati, negli spazi pubblici (ad es. fuori da supermercati e ristoranti, che dovranno invece accoglierli). Per una giusta convivenza non è possibile avere più di 5 animali domestici contemporaneamente. Spazio anche al benessere animale nelle colonie feline. Spetta ai Comuni garantire la sicurezza la salute e l’identificazione con un microchip degli abitanti. I gatti non potranno essere spostati se non per giustificati motivi e previa autorizzazione.
Una buona legge con qualche buco
Se l’obiettivo è combattere il maltrattamento, l’abbandono e la strage di animali, alcuni di loro restano però al di fuori della legge. Così, dal divieto dei circhi con animali come tigri e elefanti e dei delfinari (che potranno ancora impiegare i mammiferi acquatici negli spettacoli, ma solo fino alla loro morte), sono escluse le feste con i tori. Esenti dalla legge anche gli animali da ricerca (per i quali si prevede solo un miglioramento di condizioni di vita), il bestiame, i cani da salvataggio e da caccia. Gli stessi promotori ammettono di essersi adeguati a quella parte della società che vede nella caccia e nella corrida parte integrante della tradizione spagnola. Almeno per ora, promettono.
E l’Italia?
L’Italia è tra i Paesi più attenti al benessere animale. Nel 1991 è stato il primo al mondo a riconoscere a cani e gatti randagi il diritto alla vita e alla tutela (legge n. 281), introducendo il principio “no kill”, ossia il divieto di soppressione. Anche il codice penale ha recepito questa sensibilità, prevedendo nuove fattispecie delittuose a tutela degli animali in correlazione al sentimento che gli umani nutrono verso di loro. La legge 120 del 2010 prevede l’obbligo di fermarsi a soccorrere l’animale ferito in caso di incidente, equiparandolo così all’essere umano.
Infine, la legge 201/2010 sul benessere animale inasprisce le pene in caso di uccisione e punisce il traffico illecito dei pet. Oltre a vietare interventi non curativi (come il taglio della coda o l’estirpazione delle unghie dei gatti) stabilisce che eventuali misure per i randagi non dovranno causare se non il livello minimo di sofferenze fisiche e morali all’animale. Il problema italiano dunque non sono le leggi, ma l’impegno a far sì che vengano rispettate.
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