Alla soglia degli ottant’anni, l’ex modella e musa di tanti artisti fa il punto sulla sua vita e sulla sua carriera, fino a scoprire che invecchiare è un’esperienza bella e naturale. Anche se c’è sempre un prezzo da pagare.
«La vecchiaia ti regala delle cose meravigliose». A dirlo è Benedetta Barzini: modella, giornalista, accademica, oggi, alle soglie degli ottant’anni. Di lei, che è stata la prima vera top model italiana, è stato raccontato a lungo il suo essere stata alla Factory di Warhol, l’aver ispirato Richard Avedon – uno dei grandi maestri della fotografia -, l’aver incantato Dalì. Poi, una volta lasciata l’America, Benedetta Barzini ha abbracciato in Italia una nuova vita nella quale, per mestiere, ha vissuto anni intensi di insegnamento, dopo quelli giovanili e febbrili che l’avevano portata fin sulle copertine dei rotocalchi più prestigiosi: tra questi, Vogue Italia, di cui fu il volto sul primo numero, nel 1965.
«A me l’immagine non piace affatto», esordisce durante la nostra conversazione che avviene proprio mentre è in corso il suo “Pensierificio”: un ciclo di incontri nati da una sua idea con l’obiettivo di stare insieme, confrontarsi, dare forma ai pensieri, creare spazi di riflessione condivisa con il pubblico e prendersi il tempo di fermarsi. «Volevo evitare la formula “relatore che parla e gente che ascolta” e allora mi è venuta in mente la parola “pensierificio”, ovvero eguagliare il pensiero alla lavorazione della farina: lavorare il pensiero e condividere questa esperienza con un gruppo di persone. Insomma, pensare insieme».
Tra i temi, le analogie fra i popoli, le riflessioni sul corpo, le tradizioni, la trasgressione, il significato di “vecchio”, ma anche l’interrogativo sulla bellezza – se sia o meno un prodotto in vendita -, le mode, i trend.
Premetto che io non ero lì per dare risposte agli interrogativi ma, semmai, per pormeli assieme al pubblico. Ho studiato i comportamenti umani con l’aiuto dell’antropologia, della sociologia, della storia e ho insegnato in varie università e accademie “Il significato dell’abito nel tempo”: un argomento molto diverso dalla storia della moda. Così, ho utilizzato l’esperienza dei miei corsi sul significato dell’abito nel tempo e ho tirato fuori delle parole e delle domande.
La domanda che le faccio è: perché sostiene di non amare affatto l’immagine?
Ha presente i selfie che le persone si fanno per non doversi ricordare quella cena con le amiche? Tutto è delegato all’immagine e io ho dei grossi problemi rispetto ad essa perché la ritengo una bugia o comunque una micro verità molto parziale. Per me l’immagine non è una cosa interessante.
La vedeva così anche negli anni in cui era una modella al top?
No, perché l’epoca della giovinezza è un’epoca in cui si accumulano esperienze e si accetta quello che ti viene offerto. Poi nella vita, dopo attente riflessioni, si capiscono cose su cui, da giovane, neanche ti soffermavi.
Quali?
L’esperienza di modella mi ha insegnato prima di tutto l’importanza della professionalità. Poi, riflettendo, ti accorgi che sei una preda e che il fotografo è un cacciatore. Ma non è tutto. La verità è che vai a rappresentare una bugia: la donna super bella, super affascinante offre alla donna di tutti i giorni – che ha i suoi difetti – una bugia. Una bugia per le donne fabbricata da donne. Un inganno, ecco, più che una bugia. Inoltre, ho imparato a riflettere sui vestiti.
Ossia?
Che più un vestito è importante, più è scomodo. Non vedi l’ora di toglierlo perché ti mette in una posizione di costrizione: impone un certo portamento e dei movimenti che non sono naturali. La cosa interessante del mio lavoro di modella è stata davvero quella di poter riflettere sul senso e sul significato dell’abito nel tempo. Questo ha voluto dire studiare antropologia, sociologia, storia, economia, perché l’abito è parte dell’evoluzione della società.
Invecchiare per lei è stato liberatorio o un percorso faticoso?
A me è piaciuto molto invecchiare. Sono sempre stata curiosa e già da giovane mi chiedevo: “Chissà che faccia avrò da vecchia?”. Perciò, mai nella vita avrei interferito con questo processo naturale. Poi, è ovvio che vi sia un prezzo da pagare: da anziani tutto rallenta, si inizia ad avere qualche problema fisico. Insomma, non è tutto gratuito, ma si guadagnano altri vantaggi.
Quali?
Diventi selettiva e non disperdi il tempo. Il tempo diventa molto prezioso. Poi inizi a pensare di lasciare andare le cose, a non essere attaccata agli oggetti, a capire che prima o poi non li vedrai più. Così, piano piano, assottigli la quantità e son tutte cose molto belle. Inoltre, secondo me, si diventa più intelligenti. Il che significa che hai preso le distanze da molte cose e dunque hai una visione più completa. Ad esempio, a ridosso dei miei 80 anni, io ho un’idea di quello che la società mi ha mostrato: i movimenti giovanili, le cosiddette rivoluzioni, gli extraparlamentari, il sistema e vedi la ripetitività di molti processi.
E questo cosa le fa pensare?
Che hai dei momenti di anticonformismo che, in realtà, vanno a rinforzare il conformismo, che non hanno via di uscita perché sono troppo estremizzati. E poi capisci che per ottenere dei cambiamenti ci vuole davvero tanto tempo e, soprattutto, non è nell’arco della propria vita che si vedono. Chi invece ha fretta di voler affermare il cambiamento, alla fine non rende un grande servizio ai mutamenti possibili. Con gli anni, inoltre, diventi meno aggressivo nell’imporre la tua idea, ascolti quella degli altri: ecco perché è molto interessante invecchiare, perché ti discosti parecchio dall’emotività e ragioni di più.
Perché le donne faticano così tanto a concedersi il diritto di mostrare i segni del tempo?
Perché sono milioni di anni che le donne sono lì per sedurre e per essere belle. Il loro ruolo è sempre stato quello, perciò è molto difficile che nel giro di poche generazioni si pensi alla propria autenticità come valore. Il valore è mantenersi giovani il più possibile e cercare di rimanere belle, perché questo è il compito base di una donna. Invece, credo sia molto offensivo pensare che qualcuno mi voglia bene perché sono ricorsa alla chirurgia estetica. Cioè, una donna desidera essere amata per quello che è, non per le sue sembianze. Conta la persona, contano i suoi difetti, che non sono neppure difetti ma caratteristiche personali, e conta la personalità: conta chi sei.
Si ritiene un’anticonformista?
Non mi sento affatto anticonformista: mi sento analista del conformismo. Non conduco una vita strampalata o metto vestiti strani: io non sono “anti”, sono per l’analisi del reale.
Oggi è cambiato il rapporto con l’immagine rispetto ai suoi anni da modella e a quelli come insegnante attenta ai temi del senso e del significato dell’abito nel tempo?
Diciamo che oggi esiste un mega commercio che ai miei tempi – nel mondo della moda – non era mega ma era mini: non esisteva la moda “fast”. Perciò, tutto era più selettivo. Anche le riviste di moda erano meno e tutto si faceva con molto più tempo e tranquillità, mentre adesso è una catena di montaggio. Inoltre, l’immagine popolare – cioè quello che fa la gente usando il proprio cellulare – è un sostituto della memoria: fotografo, così mi ricordo un tramonto. E questo sostituto della memoria è una delega per cui oggi, in realtà, molte cose che una volta richiedevano azioni, pensieri, vengono inglobate in qualcos’altro che deve pensare per te.
Ossia, lei dice: oggi non stiamo più accumulando ricordi, ma stiamo delegando uno strumento a incamerarli…
Sì. E siccome hai centinaia e centinaia di immagini dentro quella “scatoletta”, poi non trovi più quello che cerchi.
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