In un magnifico ambiente naturale, tra boschi, corsi d’acqua e panorami mozzafiato, sorge un agglomerato di case, quel che resta di un antico centro urbano. Rimesso a posto e portato a nuova vita da un gruppo di amici che se ne innamora.
Sul versante romagnolo del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, a 680 metri sul livello del mare, sorge il piccolo borgo di Strabatenza. Settant’anni fa contava 189 anime sparse in vari poderi e nelle case che formavano il nucleo raccolto intorno alla chiesa di San Donato, ma oggi non rimane quasi più nessuno. È lì, poco distante dal fiume, che nel 1990 un gruppo di amici poco più che trentenni si innamora di una di quelle case ormai disabitate.
«Eravamo tre famiglie con il desiderio di trovare una seconda casa immersa nel verde che potessimo condividere o di cui potessimo usufruire anche singolarmente – racconta Gabriele -. In quel periodo c’erano diversi poderi nell’Appennino che la Regione Emilia-Romagna voleva dismettere ai fini di un recupero. Un giorno siamo andati a vedere quella che poi sarebbe diventata la “nostra casa”. Era completamente da ristrutturare, ma era grande abbastanza da contenerci tutti e aveva un giardino interamente costeggiato dal fiume. Così, abbiamo fatto richiesta alla Regione e ce l’hanno assegnata. L’abbiamo avuta in affitto per 20 anni e in quel periodo l’abbiamo sistemata. Poi, nel 2010, è stata messa in vendita con diritto di prelazione per chi l’aveva in affitto. Non aspettavamo altro!»
Sono passati 31 anni da quando quei ragazzi hanno messo piede dentro “Cà di Topino” per la prima volta. Quel nomignolo, inciso su una targa di legno sopra la porta d’ingresso, è probabilmente dovuto al soprannome di chi la ha abitata fino agli Anni ’50. I suoi abitanti odierni, invece, sono ormai over 60 che, con l’avvicinarsi della pensione, hanno preso a viverla sempre di più.
«Di solito, organizziamo dei turni per avere la possibilità di vivere la casa anche singolarmente, ma molto spesso ci ritroviamo qui insieme. È un posto dove stare bene e dove godersi la pace. Non esiste internet, non prende il cellulare. Abbiamo solo il telefono fisso in caso di emergenza, ma il numero lo diamo solo a chi ne ha bisogno. Così evitiamo di essere disturbati dal tran tran quotidiano», ci dice Fabiola.
Lei, a differenza di alcuni “coinquilini”, non è ancora in pensione, ma non esclude di poter passare lunghi periodi a Cà di Topino quando lo sarà. «Certo, pensando a una situazione di non autosufficienza è difficile poter vivere qui. Il bagno è esterno e per raggiungerlo c’è una rampa di scale da fare, la spesa va fatta nel paese più vicino (a 15 km di distanza, ndr) e, in caso di emergenza, nessuna ambulanza può arrivare», ci dice. Per raggiungere la casa, infatti, è necessario parcheggiare la macchina e proseguire a piedi per alcuni metri, superando un ponte a schiena d’asino e un breve tratto in salita. «Ma se penso di rimanere qui, con il solo rumore del fiume, a leggere libri immersa nel verde, mi sento in pace».
Il posto negli ultimi anni si è popolato sempre più e adesso conta 4 famiglie di vicini e un piccolo bed & breakfast. Gabriele, in questa cornice, azzarda l’idea di un cohousing nella natura: «La compagnia ormai è collaudata e non abbiamo preoccupazioni perché i nostri figli sono grandi. Quando siamo qui ci dividiamo i compiti: c’è chi cucina, chi fa piccoli lavori di manutenzione, chi va a fare legna e tanto altro. La domenica spesso invitiamo amici a pranzo che partono anche la mattina presto pur di esserci. La bellezza di questo borgo sta nell’opportunità di poter riscoprire dei ritmi che la città non può darti».
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