Le città saranno sempre più il luogo nel quale vivrà gran parte della popolazione mondiale. E l’obiettivo primario è renderle inclusive e sostenibili per tutti, anziani compresi
il 2020-2030 è stato proclamato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità il “Decennio dell’Invecchiamento in Buona Salute”. L’iniziativa mira a sensibilizzare gli Stati, i media, il mondo accademico e i privati, affinché collaborino all’attuazione di programmi volti ad un invecchiamento attivo e sano e al miglioramento della qualità della vita della popolazione anziana.
Secondo le previsioni dell’Espon (European Spatial Planning Observation Network) – un programma europeo di osservazione del territorio – nel 2050 due terzi degli Stati membri d’Europa avranno una popolazione senior pari al 50%, con gli ultra 85enni che saliranno a 26,8 milioni. Attualmente negli Stati europei l’aspettativa di vita per un 65enne è in media di 9,4 anni; in Italia è di 7,8 anni per gli uomini e 7,4 per le donne. Pensare di aumentare l’aspettativa di vita, però, non basta perché è necessario che gli anni “in più” siano vissuti in buona salute.
L’Oms definisce “invecchiamento sano” quel «processo di sviluppo e mantenimento dell’abilità funzionale che consente il benessere in età avanzata». Ma, in definitiva, cos’è che determina “l’abilità funzionale” di una persona?
Certamente le attitudini specifiche in possesso di ognuno ma anche l’ambiente in cui si vive. Per questo motivo tra gli obiettivi individuati dall’Oms per un sano invecchiamento, c’è anche quello di rendere le abitazioni, gli spazi comuni, i trasporti pubblici adeguati alle esigenze di una popolazione sempre più anziana. Sono quindi le città i luoghi principe nei quali affrontare il fenomeno del significativo cambiamento demografico.
Oggi si vive gran parte dell’età senile in spazi progettati e creati da e per una popolazione più giovane e produttiva. Per un cambio di direzione sono necessarie strategie comuni a lungo termine da applicare su aree specifiche, e maggiori fondi pubblici da investire.
I fattori da considerare per rendere le città a misura di senior sono molteplici. Partendo dall’architettura urbana, andrebbero eliminate barriere fisiche e socio-cognitive, incrementate le aree verdi e quelle per l’attività fisica all’aperto, inserite zone per giocare a scacchi o svolgere diverse attività ricreative. Si dovrebbe dedicare maggiore attenzione agli attraversamenti pedonali e aumentare la distribuzione di servizi igienici. Indispensabili le infrastrutture quali teatri, biblioteche, musei e centri culturali. Nelle costruzioni, sono da prediligere materiali che isolino il calore, pavimentazioni antiscivolo e prive di ostacoli. Il design andrebbe curato anche a livello cromatico.
In Europa sono molte le amministrazioni cittadine che hanno iniziato ad attuare programmi di sviluppo migliorativo in tal senso.
A Saragozza, per esempio, sono state posizionate panchine con schienale a distanza ravvicinata lungo tutte le vie dello shopping; sulle strade principali che collegano il centro città, sono state installate pensiline per la protezione dalla pioggia ed è stata intensificata l’illuminazione in determinate aree. In alcune città della Svezia, invece, è stata introdotta un’app con cui tutti i cittadini possono segnalare gli ostacoli e migliorare l’accessibilità.
I trasporti sono un altro tassello rilevante. Andrebbero utilizzati mezzi più accessibili ed ecologici, previste soluzioni personalizzate per portare le persone nelle zone non coperte dal trasporto pubblico, includendo servizi di assistenza a costi contenuti.
Ad Oslo, per esempio, è nato il Rosa Busser, un servizio porta a porta per anziani, con spazio per deambulatori o sedie a rotelle, autisti formati e specializzati. Viene utilizzato abitualmente per andare a trovare familiari, raggiungere il centro città e allo stesso tempo è un modo per conoscere coetanei, prevenire l’isolamento e i deficit cognitivi.
Relativamente al binomio invecchiamento-abitazione, però, c’è da tener conto che le persone anziane tendono a voler vivere nella stessa casa in cui hanno vissuto da sempre, nella quale hanno cresciuto i figli e realizzato progetti. E spesso in quelle case ci sono scale da fare a piedi, non c’è l’ascensore o i sistemi tecnologici installati sono arretrati. È necessario, quindi, introdurre piani di finanziamento e assistenza per aiutare i proprietari a trovare nuove abitazioni o rendere le loro case più adatte al mutato stile di vita o alla ridotta mobilità. Ciò è utile anche per prevenire gli incidenti domestici e ridurre, in un’ottica a lungo termine, le spese sanitarie.
Ad Amsterdam, nei Paesi Bassi, per esempio, hanno formato dei volontari, gli housing coaches, che fanno visita a domicilio agli anziani per verificare, con sufficiente anticipo, se le loro abitazioni siano ancora adeguate. Presentano soluzioni alternative e assistono durante tutto l’iter – dalla scelta dell’immobile al trasloco – i cittadini che decidono di trasferirsi.
La collaborazione tra popolazione anziana e istituzioni è vitale. Concedendo ai senior un ruolo attivo nella società o impegnandoli in attività di pubblica utilità, essi si sentono più coinvolti. Proprio come a Manchester, dove la Contea ha potenziato la presenza di uffici di assistenza per la ricerca e la formazione di lavoratori over 50.
Nel processo di rigenerazione urbana non si può ignorare la rivoluzione digitale degli ultimi anni, che costituisce decisamente un alleato nella costruzione di città age-friendly. Se da una parte la tecnologia è uno strumento indispensabile per l’efficienza delle città, per la conversione in smart city e per il raggiungimento di maggior comfort, dall’altra l’evoluzione tecnologica può rappresentare un problema per gli anziani, costretti ad aggiornarsi. È necessario, quindi, organizzare progetti volti all’apprendimento, attuando campagne di informazione, scegliendo un linguaggio semplice, una comunicazione diretta ed efficace.
Grazie a Life Filming, un workshop sviluppato a Göteborg, in Svezia, oltre un centinaio di senior hanno migliorato l’approccio alle moderne tecnologie digitali. Il metodo era finalizzato alla produzione di contenuti digitali: i partecipanti sono stati dotati di tablet e hanno condiviso ricordi o esperienze personali, video e immagini, fino a girare dei veri e propri film a tema sociale. I risultati hanno fornito una prospettiva differente sul loro mondo e i loro bisogni, oltre a migliorare le loro capacità tecniche.
In molte città si stanno promuovendo aree con abitazioni a misura di senior in cui favorire socializzazione e interazione con l’ambiente urbano, proprio come i Logements Blues a Nantes, in Francia, complessi abitativi dedicati agli over 65 con reddito basso.
Oltre al già noto e diffuso fenomeno del cohousing – modello abitativo nato in Scandinavia, che combina l’autonomia dell’abitazione privata con la condivisione di spazi e servizi comuni -, in alcune città è stata sperimentata con successo la convivenza di studenti universitari e senior nello stesso edificio, basandosi su studi che affermano come la stimolazione del contatto intergenerazionale migliori l’umore di chi è abituato alla solitudine.
A Barcellona, in Spagna, grazie al progetto Viure i Conviure (Vivere e Condividere) studenti universitari sotto i 35 anni vengono ospitati da over 65 autosufficienti che vivono da soli; i partecipanti, principalmente donne intorno agli 80 anni e studentesse sotto i 24 anni, si sono supportati, tenuti compagnia e condiviso esperienze.
In conclusione, in futuro ci si aspetta che, in un contesto metropolitano a partecipazione attiva, le persone, indipendentemente dalla loro età e dalle condizioni psicofisiche, possano aspirare ad avere una migliore qualità della vita e possano sviluppare un pieno senso d’appartenenza.
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