L’ultimo rapporto dell’IPBES, l’organismo ONU sulla biodiversità, segnala e valuta i danni dei sempre più numerosi cambiamenti di habitat di animali e vegetali. Un fenomeno, evidenziato da noi dall’invasione dei granchi blu, da contenere e combattere.
I cambiamenti climatici preoccupano l’ONU e con loro tutto il corollario di diffusione di specie aliene che ne derivano. È stata una delle notizie dell’estate l’invasione dell’alto Adriatico da parte dei voracissimi granchi blu. Il callinectes sapidus viene dalla costa atlantica americana ed è giunto nel Mediterraneo e poi da noi nelle acque di zavorra delle navi. Già il suo doppio nome scientifico, in latino secondo il metodo introdotto da Linneo con il primo a indicare il genere e il secondo la specie a cui un animale appartiene, ne sottolinea la sua caratteristica principale. È sapidus ovvero “gustoso”.
Questo sta facendo nascere anche in Italia, come già successo in altri Paesi, dalla Tunisia alla Grecia, una maniera per contenerne il numero, ovvero il suo consumo a tavola, persino come ingrediente della pizza, e la sua esportazione come alimento pregiato, dato che sono arrivate richieste dalla Corea del Sud e da altre nazioni asiatiche. Anche il portunus segnis, l’altra specie di granchio blu avvistata in Sicilia e in Puglia, proveniente dal Mar Rosso via Canale di Suez, sta diffondendosi sempre più.
Il rapporto dell’organismo dell’ONU
L’innalzamento delle temperature nei nostri mari è la causa probabile di questa proliferazione, che sta deteriorando habitat ed ecosistemi, tra cui quelli delicati delle oasi faunistiche. Un danno iniziato da alcuni anni e rimasto quasi silente fino all’assalto economicamente rilevante alle colture di vongole (di cui i granchi sono golosi) nelle lagune del delta del Po. E le proteste degli allevatori di molluschi sono state confermate dal recente rapporto Invasive Alien Species Assestment della IPBES, la Piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici, attivata dall’ONU nel 2012, cui aderiscono 144 Paesi. Infatti l’invasione del granchio blu appartiene a uno dei numerosi casi che gli 86 esperti impegnati hanno approfondito e valutato come forieri di peggioramenti nel prossimo futuro.
Danni enormi
Se oggi la stima dei danni causati dalla proliferazione in habitat differenti dai loro da parte di vegetali e animali è di oltre ai 423 miliardi di dollari l’anno (più delle calamità naturali che pure ci fanno tanta paura), il futuro che ci aspetta è senz’altro peggiore. Il precedente rapporto IPBES parlava del «tempo che stiamo vivendo come sesta estinzione di massa, dopo quelle precedenti causate da eventi cosmici e planetari, tra le quali tutti conoscono quella che portò all’estinzione i dinosauri, 65 milioni di anni fa». Un’estinzione, quella di animali e piante, cui hanno contribuito le specie aliene in maniera decisiva, determinando quale unico fattore l’estinzione di oltre 1200 specie e di 4500 circa come motivazione primaria.
La causa è l’uomo
Gli scienziati calcolano in circa 37mila le “invasioni” dovute all’opera dell’uomo, sia diretta con i viaggi, le migrazioni e gli scambi di merci, sia indiretta con l’aumento globale della temperatura e l’inquinamento. Di queste quelle dannose sono circa il 10%, causate da un invertebrato su cinque, dal 14% dei vertebrati, dall’11% dei microbi e dal 6% dei vegetali. Tra i vari protagonisti, oltre ai granchi blu, ricordiamo le lumache spagnole in Svezia, le ostriche concave in Danimarca, i granchi reali rossi in Russia, i gamberi di fiume americani in Spagna, le palme nypa in Nigeria, le zanzare tigre nel sud Europa e via dicendo. I danni, oltre che ambientali, sono economici nei confronti soprattutto dell’industria alimentare, e in non pochi casi anche sanitari per il diffondersi di malattie portate da insetti e microrganismi alieni.
Quali soluzioni?
Le soluzioni sono complesse e spesso onerose, tanto che solo il 17% dei Paesi ha norme specifiche di contenimento e quasi la metà non ha ancora stanziato un euro per affrontare questo problema. Poiché l’eradicazione funziona solo in contesti limitati, come le isole della Polinesia francese liberate da conigli e ratti neri, meglio attivare strategie di freno con mezzi chimici, fisici e biologici (l’uso di altre specie avverse) e di prevenzione con il monitoraggio cautelativo sul territorio e i controlli sulle importazioni con rigidi protocolli doganali di biosicurezza. A esse vanno sommate le politiche di gestione dei fenomeni, da valutare caso per caso, sul tipo di quelle di cui dicevamo all’inizio.
I Paesi dell’IPBES si sono accordati per ridurre le calate delle specie aliene del 50% entro la fine del decennio. Impegno non semplice ma ineludibile, perché gli obiettivi dell’umanità non sono cambiati rispetto a quelli indicati dalla Convenzione sulla Diversità Biologica. Il trattato internazionale, firmato dai partecipanti al Summit sulla Terra di Rio de Janeiro del 1992 e in vigore dal 29 dicembre dell’anno seguente, li elencava chiaramente: conservazione della biodiversità; uso sostenibile degli elementi che costituiscono la biodiversità; giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche.
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