Marcella Banditella.
Coniugata, madre di due figli e nonna di sei nipoti. Ha lavorato come guida turistica dell’Umbria per quarant’anni. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive ad Assisi.
“Nonna, mi racconti quella del “Sorce Barberetto padròn de ‘sto castello, padròn de ‘sta città?”.
“T’è piaciuta, vero? Alla tua età, anch’io volevo tanto bene a quel sorcetto; mi rattristava un po’ la sua morte, ma poi… il cordoglio e la così tanta partecipazione, me lo facevano amare e idealizzare, persino quasi invidiare…”.
“E adesso chi ti piace?”.
“Mi piacciono… le nipotine “Piattolette” che vogliono ascoltare la sua storia”.
“E a te, chi te la raccontava?”.
“Me la raccontava la zia Anita, sorella della mia mamma, che era venuta ad abitare da noi per un periodo durante la guerra, quando il resto della famiglia si era trasferito a Spoleto”.
“E perché lei era rimasta con voi?”.
“Perché stava imparando a lavorare da sarta per diventare brava come la mia mamma”.
“E che altro ti raccontava la tua zia?”.
“Ohh… tante altre cose e mi insegnava anche a leggere e a capire quello che leggevo”.
“Ma dimmi Nonnina, mi spieghi che cos’è il cordoglio e che cos’è la guerra?”.
“Ohh! Il cordoglio si prova quando muore qualcuno a noi caro, è un forte dispiacere, un dolore… e la guerra… beh! La guerra è una litigata in grande, perché coinvolge tanta gente del mondo, (anche se di solito sono solo in due a cominciare) è un po’ come quando eri alla Scuola Materna e volevi il gioco della tua compagnetta oppure era lei che lo voleva da te… Quando si litiga è sempre per prepotenza e soprattutto quando si è in guerra si diventa nemici; allora il litigio diventa quasi una gara perché ognuno vuole superare l’altro e la bisticciata diventa sempre più rumorosa e si fanno male, sì, si fanno tanto male! In guerra molta gente muore sui campi di battaglia, nelle città e nelle case durante i bombardamenti quando esplodono le bombe lanciate dal nemico… e anche dopo tanti anni, si prova un profondo cordoglio per quelle vittime innocenti.
Brutta cosa la guerra, gran brutta cosa!… spero che tu non abbia mai a conoscerla! Ma torniamo ora al nostro simpatico “Sorcetto” eccolo qui e tu, dillo insieme a me: “E’ morto il Sorce Barberetto, padròn de ‘sto castello, padròn de ‘sta città! La bella donna piange, la finestra sbatte, l’albero s’è sfrondato, l’uccellino s’è pelato tutto il… “culino”, la fontana s’è asciugata tutta, la zitella ha rotto la brocchitella, la Regina è stata tre ore con le mani dentro alla farina, il Re è stato tre ore a sedè… perché… è morto il Sorce Barberetto padròn de ‘sto castello, padròn de ‘sta città!”.
E così proseguiva la conversazione, mentre la nonna stirava e la nipotina lo faceva col suo piccolo ferro giocattolo, su un basso asse da stiro della sua altezza, lì in quella piccola stanza-guardaroba. Nel frattempo, provenienti dal cielo che fin dal primo mattino era già un po’ grigio, si cominciarono a udire dei tuoni e all’improvviso il sole si oscurò quando una grossa nube nera gli passò davanti, mentre un lampo come una saetta attraversò tutto il cielo, seguito dalla caduta del fulmine con uno scoppio simile al fragore di una bomba e poco dopo iniziò a piovere a dirotto.
“Vedi tesoro? La guerra assomiglia un po’ a un grosso temporale, ma la grande differenza è che il temporale e qualunque altro fenomeno atmosferico come terremoti o eruzioni vulcaniche, sono fenomeni naturali che temiamo ma contro i quali non possiamo farci nulla, mentre la guerra è provocata dall’uomo cioè dal genere umano e questo è veramente triste, in quanto con un po’ di pazienza e di comprensione, si sarebbe potuta evitare”.
Nel frattempo, due uccellini gemelli – perché nati nella stessa nidiata – si trovavano al suolo ai piedi di un vecchio albero, in attesa della loro mamma che li avrebbe riportati al nido; veramente erano arrivati lì un po’ per scherzo e un po’ per errore, perché giocando erano scivolati giù e ora non sapevano come risalire. Non volavano ancora bene e i loro tentativi erano dei piccoli saltelli che fino ad allora avevano fatto allegramente mentre cinguettavano dicendo quanto si divertivano a fare quel gioco… ma ora… che cos’erano quelle cose simili a sassi o perle luccicanti che cadevano dal cielo e li colpivano, esplodendo loro addosso come schiaffi umidicci e sballottandoli qua e là? Ma… soprattutto, dov’era la mamma? Cominciarono a pigolare disperati: “Mammina! Siamo qui, siamo qui! Vieni a prenderci, abbiamo tanta paura!”.
I due uccellini non lo sapevano, ma la mamma li stava cercando preoccupata mentre recuperava anche gli altri fratellini sparpagliati sullo stesso grande albero dove c’era il nido; il fatto è che loro due giocando allegramente si erano allontanati un po’ troppo e ora non sapevano come fare a ritrovare la strada per tornare a casa. Purtroppo, il temporale era arrivato all’improvviso e inaspettato, ma fortunatamente le foglie di quell’enorme fico erano pure molto grandi, ed essendo l’inizio dell’autunno, molte di loro si trovavano già a terra.
Svolacchiando goffamente si ripararono sotto una di loro e così rimasero infreddoliti uno accanto all’altro, tremanti e impauriti. Non avevano ancora tutte le piume che li avrebbero protetti dal freddo e dalla pioggia, così tentavano di riscaldarsi un po’ stando vicini vicini e proprio così li ritrovò la loro mamma esperta e giudiziosa, quando sollevò un lembo della grossa foglia che faceva loro da tetto e li guidò verso casa, cioè verso il nido, insegnando loro a scalare con dei piccoli voli, il tronco e i rami dell’albero.
Che paura! Ma la mamma li rassicurava mentre li spronava al coraggio e così giunsero al nido su in cima, dove il babbo li aspettava con i fratellini e un gustoso pranzetto a base di vermiciattoli e buoni bocconcini, o erano forse dei… becconcini (?) di frutta matura che c’era ancora sugli alberi di quell’orto, come cachi, alleroni detti pure corbezzoli, fichi o altro.
Fu un’esperienza veramente ardua e pericolosa, ma alla fine risultò vittoriosa; sì, avevano vinto la loro battaglia per la vita ed erano appena all’inizio perché tante altre ne avrebbero ancora affrontate. Crebbero quegli uccellini e divennero adulti, ma ricordavano con emozione quella loro prima giornata di pioggia che era stata così importante per la loro formazione, perché ogni avvenimento bello o brutto che sia, crea un bagaglio di esperienza che serve – eccome se serve! – nella vita.
Nonna e nipotina avevano nel frattempo ripiegato le loro assi da stiro e riposto la biancheria stirata; la nonna quella della casa, la nipotina quella delle sue bambole.
La pioggia era cessata. Mentre scendevano le scale per andare in cucina, la nipotina chiese se poteva aiutarla a cucinare il pranzo.
“Certamente – rispose la nonna – oggi faremo il minestrone; andremo nella dispensa e poi nell’orto per scegliere tutte le verdure necessarie: carote, sedano, zucchine, una cipolla, qualche patata e qualche pomodoro ben maturo, così daremo alla minestra un po’ di colore”.
Così serenamente trascorreva la vita di quella famigliola composta solo dal nonno, la nonna e la piccina, perché i genitori della bimba erano lontani; si trovavano in una città distante dal loro paesello, a lavorare da bravi e volenterosi operai, quali essi erano.
Con i risparmi messi da parte in diversi anni di lavoro, avevano già comperato la casetta lì a fianco e al loro ritorno l’avrebbero fatta restaurare a dovere per andarci a vivere con la loro bambina e anche con i nonni che l’avevano cresciuta. Avrebbero così potuto contraccambiare le cure, l’aiuto e l’amore che essi avevano spontaneamente dato a tutti loro.
E così, in un giorno qualunque, si evolveva la vita di tante tenere creature che per il solo fatto di vivere, dimostravano che la vita è fatta di piccole cose e che le piccole o grandi difficoltà che incontriamo, non sono altro che il contributo da apportare per il piacere di essere vivi.