Francesca Balasso.
Partecipa al Concorso 50&Più per la quarta volta; nel 2019 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la prosa. Vive a Fossalta di Portogruaro (Ve).
Nella stanza in penombra i raggi del sole filtravano attraverso le fessure delle veneziane abbassate, come ali evanescenti accarezzavano le dita immobili di Lucia. Da una settimana giaceva su quel letto d’ospedale, “bip, bip…” il rumore pareva la cullasse nella tranquillità del luogo. Gli occhi chiusi, il volto teso, Lucia era stanca della sua lunga vita, quasi cent’anni aveva. Attaccata alla macchina pregava che venissero a prenderla gli angeli, ma le ore e i giorni passavano lenti e nulla accadeva, quanto doveva attendere ancora? Ebbene ci sarebbe andata da sola nell’aldilà!
Decisa affrontò l’ignoto entrando nella buia spirale della mente. Smarrita ma risoluta a non tornare indietro, proseguì tentoni finché immagini lontane dapprima sfocate poi sempre più nitide squarciarono l’oscurità. Un parquet color miele, specchi attorno ed al centro alla sbarra una bimba in tutù rosa con le lacrime agli occhi.
“Mademoiselle Lucia, non sarete mai una ballerina se non accettate di soffrire”, redarguiva severa madame Julie, “Coraggio, un bel sorriso, su il mento, giù le spalle. Tempo…sei sette otto e…demi pliè…”.
Quanta fatica era costata la continua sfida alla gravità per librarsi leggera sui palcoscenici di mezzo
mondo! “Brava,bravissima…!”. Inebriata dal profumo dei fiori lanciati a pioggia, accolse grata gli applausi scroscianti.
Pian piano scemarono e malinconiche note di violoncello la investirono, Igor il suo primo amore suonava con trasporto senza distogliere lo sguardo dallo strumento. Erano stati giovani e felici per qualche tempo finché il nodo che li legava si era sciolto da sé e non se n’erano accorti.
La musica struggente mutò in pianto, un vagito di bimbo mai nato, un costante rimorso per non averlo voluto. Lucia si avvicinò, tentò di scoprirne il viso, ma il buio inghiottì il fagottino lasciandole l’amarezza dell’occasione perduta.
Volti e voci emergevano dal vuoto sfreccianti come meteore ad animare l’infinito universo punteggiato di stelle. L’armonico caos non impauriva, anzi lasciava scivolare l’animo verso la quiete mentre il vortice diradava.
“Mia cara abbi pazienza, qualche minuto ed il ritratto sarà completo”, diceva una profonda dolce voce maschile. Pablo, l’uomo della sua vita, dipingeva e lei avvolta in una nuvola di veli bianchi rideva, lo sguardo oltre la finestra aperta sull’oceano blu-cobalto scintillante sotto il cielo estivo. Lo sciacquio delle onde aumentò fino a divenire il fragore d’una spettacolare cascata. L’acqua precipitava, vapori di minuscole gocce rifrangevano la luce in una esplosione di colori effimeri come fuochi d’artificio destinati a spegnersi.
Buio e silenzio presero il sopravvento finché affiorò un punto luminoso che andava ingrandendo, era la fine del tunnel.
Lucia con un balzo si trovò fuori, aveva il volto fresco, le lunghe trecce nere e quel delizioso abito grigio perla disseminato di boccioli rosa e foglioline verdi. Sollevò un piede immerso nel fumo azzurrognolo, indossava le prime scarpe col tacco, quanti anni poteva avere? Forse sedici. Di fronte a lei c’era un grande portale di legno sostenuto da pareti invisibili seppure impenetrabili. Allungò la giovane mano, afferrò il battacchio, colpì con forza ed attese. Una finestrella si aprì appena lasciando fluire una voce scura. “Che cosa vuoi?”.
“Per favore fatemi entrare”.
“Chi ti ha accompagnato?”.
“Nessuno, sono arrivata da sola”, affermò timida.
La voce si fece dura: “Allora torna indietro. Si viene solo accompagnati dagli angeli”.
“Oramai sono qua, aprite!”, implorò tra le lacrime.
Oltre lo spiraglio la voce parve ammorbidirsi. “Parlerò con chi di dovere. Siedi sulla panca alla tua destra ed aspetta”.
Il pertugio fu richiuso e Lucia obbedì. Il tempo non esisteva, ora guardava le mani ed accarezzava le dita, ora accavallava una gamba, poi l’altra. Un giovanotto venne verso di lei, portava la fisarmonica sul petto.
“Deve attendere”, gli disse gentile, “le conviene sedersi”. Non rispose e si accomodò. Accennò un valzer francese prima incerto sulla tastiera poi sciolto e sicuro. Le note riempivano il nulla ed altre persone si avvicinarono fino a formare un piccolo pubblico muto e composto.
Dalla finestrella riaperta la voce si diffuse forte ed inflessibile: “Le regole sono chiare. Non si entra se non accompagnati. Tornate indietro!”.
Impossibile replicare, non restava altro che eseguire. Il gruppo lentamente si disperse, da ultimo il fisarmonicista e la sua melodia svanirono nella nebbia.
Lucia rimase sola, triste e stanca. Tentò di alzarsi ma le gambe rifiutavano di muoversi, le mani rugose non facevano leva sulla panca ed i radi capelli grigi scarmigliati a stento coprivano la vecchia fronte. I boccioli stampati sulla veste erano rose sfatte dai petali cadenti tra le foglie secche d’autunno.
“Non posso e non voglio tornare indietro, non posso e non voglio…”, ripeteva sottovoce come recitasse il rosario.
Un lieve cigolio del portone schiuso, due angeli uscirono e con delicatezza sollevarono il povero corpo. “Vieni con noi, puoi entrare”, sorrisero luminosi.
Lucia sentì le forze aumentare fino a varcare la soglia senza sostegno. La sua risata echeggiò cristallina mentre tutto si chiudeva dietro di lei.