Francesca Balasso. Partecipa al Concorso 50&Più per la terza volta; nel 2019 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la prosa. Vive a Fossalta di Portogruaro (Ve).
Luigino si concesse una breve sosta.
Lavorava da più di due ore e sentì il bisogno di sciogliere le spalle di bambino. Sistemò il cuscino sotto la gamba destra ingessata sorretta dallo sgabello costruito per l’occasione dal nonno, poi incrociò le dita e le fece scrocchiare.
Il momento era delicato, ora si trattava di assemblare il tutto.
Non potendo muoversi per procurarsi la materia prima, la sera precedente era arrivato a minacciare la sorella che non valeva saperne di assecondarlo.
Ma lui l’aveva convinta. L’aveva vista tornare dalla fabbrica accompagnata da Rocco, un tipo senza arte né parte. Di quelle due parole Luigino non conosceva il significato ma doveva trattarsi di qualcosa di grave dato che alla mamma il giovanotto non piaceva. Ebbene avrebbe spifferato tutto rincarando che lei lo aveva baciato, Rocco.
“Bugiardo, grandissimo bugiardo, finirai all’inferno!”, aveva urlato la ragazza, ma dopo mezz’ora sul tavolo c’era quanto richiesto.
Il ragazzo riprese il lavoro con il coltellino e finì l’archetto. La fronte era corrugata sotto il ciuffo nero, il naso all’insù arricciato per la tensione pareva ancora più corto e la punta della lingua stretta fra i denti fuoriusciva di lato alle labbra. Così concentrato dava l’ idea di essere più grande dei suoi undici anni.
Appoggiò il pezzo di legno finito. Prese il rettangolo di coramella, con cura praticò due fori ai lati corti e vi infilò due pezzetti di spago che poi fissò alle strisce di camera d’ aria. Annodò il tutto alle punte dell’archetto ed ecco pronta una magnifica fionda.
Strinse gli occhietti scuri e rimirò l’opera. “Non resta che provarla” si disse soddisfatto. Nelle sue scorribande per la campagna aveva adocchiato parecchi nidi, di sicuro erano oramai vuoti tra i rami quasi spogli dei pioppi: ottimi bersagli ma con quella gamba rotta impossibili da raggiungere. L’incidente era accaduto il mese prima, ancora non si capacitava di aver sbagliato. Al cinema dell’Oratorio aveva visto un film di guerra e gli uomini che scendevano con il paracadute. Lui, Luigino, li aveva imitati saltando dal terrazzo di casa ma l’ombrello del padre pur aperto da subito, non era servito a nulla. Aveva avvertito un dolore lancinante alla gamba ed un altro sulla guancia paffuta.
“Mi farai morire di crepacuore”, aveva gridato la mamma colpendolo con la mano larga. In fondo che aveva fatto di male, aveva solo sbagliato. La prossima volta, se ci avesse riprovato, avrebbe usato due ombrelli.
Prese la stampella e si avvicinò alla finestra della stanza al piano terra, aiutandosi con le braccia si sporse e con lo sguardo setacciò la strada di ciottoli in cerca di qualcosa da colpire. Niente e nessuno.
Gli parve di udire un rumore. Si volse a destra, dalla curva oltre la fontana avanzavano due cavalli trainanti un carro di legno, anzi una casa viaggiante: tavole colorate, il tettuccio a botte, una finestra con le ante spalancate e le tendine a brandelli.
“I saltimbanchi, arrivano i saltimbanchi!”, rise felice Luigino. Oh se gli piacevano i loro giochi! Di sicuro si sarebbero accampati sul prato davanti alla chiesa, sotto la grande quercia. Che divertimento, forse c’era anche il mangiafuoco, straordinario! Comunque meglio non imitarlo finché non avesse capito come funzionava la faccenda.
Il carro avanzava lento. A cassetta un donnone incitava le bestie. Il fazzoletto colorato legato sulla nuca metteva in evidenza il faccione ed il naso violaceo simile ad una melanzana.
Pensiero ed azione furono tutt’uno. Luigino impugnò la fionda, posizionò un sassolino della sua collezione, tirò indietro, mirò e lasciò andare. L’ urlo di dolore echeggiò nella via deserta del borgo. La donna tenendosi la mano sul naso insanguinato piombò giù dal carro, pesante come una balla di paglia.
“Dov’è, dov’è quel brigante! Io lo ammazzo!”, gracchiò e tirando sa le gonnacce si avvicinò alla casa.
“Accidenti, mi ha visto”, pensò preoccupato Luigino. Eppure gli pareva di essersi ritirato in fretta. Già in fretta, quel gesso di certo lo aveva rallentato. Non trovò di meglio che chiudere la porta con il gancio ed appiattirsi contro il muro. Nel caso quella furia avesse sfondato l’ uscio sperava di venirne nascosto.
La vecchia entrò in cucina. Luigino la sentì discutere, meno male che la madre era altrettanto alta e robusta. Si scusò per quel figlio che le dava tanti dispiaceri. “Abbiate pazienza signora, avete anche voi dei figli, cercate di capire…”, insisteva la poverina mentre l’altra ripeteva irosa “Datemelo, lo voglio ammazzare!”. D’improvviso fu il silenzio, il ragazzo tese l’ orecchio ma inutilmente. Restò lì con il cuore in gola per un tempo che gli parve infinito.
Poi si avvicinò alla finestra e sbirciò accorto. Il donnone saliva a cassetta stringendo due polli già spennati. Borbottava. Riprese le redini e incitò i cavalli a muoversi. Dalla finestrella fecero capolino tre testoline scarmigliate, quella sera avrebbero goduto di una cena gustosa ed abbondante.
“Luigino apri la porta!”, ordinò la madre. Il tono di voce annunciava tempesta.