Francesca Balasso.
Partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta; nel 2019 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la prosa. Vive a Fossalta di Portogruaro (Ve).
“Non mi prendi, non mi prendi…”, cantilenava allegra la ragazzina correndo sul sentiero sassoso.
“Bellina, aspettami!”, piagnucolava ansando un bimbetto paffuto, le guance arrossate, la bocca priva degli incisivi, nera di cioccolato.
Lei, leggera come una farfalla, agile come una scimmietta, raggiunse lo strano albero cresciuto orizzontale a formare un ponte sulla roggia che riforniva d’acqua il parco. Attraversò e sedette a cavalcioni del tronco in attesa di quel frignone di Alvise. Oh adorava il fratello, le piaceva tenere le manine morbide tra le sue e sbaciucchiarlo come fosse una delle bambole, ma sei anni non erano bastati a superare del tutto la gelosia infantile. Ogni tanto affiorava e come la punta di una freccia colpiva.
“Coraggio ciccione, raggiungimi!”.
Il bimbo fece appena due passi, perse l’equilibrio e finì in acqua.
“Mamma, mamma!”. Il richiamo echeggiò fino alla cucina della villa dove la signora programmava il menù della settimana con Maria la cuoca.
“Ci risiamo. Miss Eleanor venga”, disse la donna rivolta alla giovane istitutrice inglese seduta accanto a lei. Questa afferrò un asciugamano e seguì la padrona che sollevata la gonna a lutto correva in aiuto dei figlioli.
“Appena torna Berto gli farò tagliare questo maledetto albero”, disse decisa la mamma mentre tirato su il piccolo lo avvolgeva nel telo, “e tu Bellina dovrai rassegnarti, non posso mica ammalarmi di cuore!”.
La bimba imbronciata non aprì bocca e rimase lì mentre le altre rientravano in fretta per evitare ad Alvise un malanno anche se ai primi di settembre faceva ancora caldo. Sbuffò sollevando i riccioli biondi scesi sulla fronte. Che centrava l’albero con la goffaggine del fratello? Era la pianta preferita da Carlotta la zia di cui portava il nome, la stessa che le aveva dato il vezzeggiativo usato da tutti. La signorina viveva in città con i genitori ma veniva spesso alla villa di campagna e trascorreva pomeriggi interi con la nipotina raccontando storie ed aneddoti di famiglia, mai a corto di argomenti. Quell’anno, il millenovecentocinque, era rimasta più del solito, dall’Epifania a Pasqua. In seguito era giunta a fine giugno, inaspettata, pallida e malaticcia ma affettuosa più che mai.
Bellina asciugò le lacrime con la manica, poi trasse dalla tasca un cerchietto d’oro, un orecchino sfuggito di mano alla zia quando era svenuta lì sul sentiero due settimane prima.
“Aiuto, aiuto!”, aveva gridato ed era rimasta a guardare il corpo esanime e la macchia che si andava allargando sulla gonna chiara colorandola di rosso.
La prima ad arrivare era stata Maria.
“Santa Rita aiutaci, il bambino!”, aveva esclamato portando le mani ai capelli.
Quale bambino? Bellina si era guardata attorno inutilmente. Il seguito era stato un frenetico via vai di gente, il medico, i nonni, il parroco e tre giorni dopo i parenti per il funerale di Carlotta. Poi tutti erano ripartiti, per ultimi i nonni accompagnati dal giardiniere Berto loro uomo di fiducia ed era sceso il silenzio.
Bellina ripose l’orecchino, si alzò e camminò pensierosa fino al nido dell’elefante. Si trattava della vecchia ghiacciaia la cui cupola collassando aveva originato un cratere dall’aspetto di un grande nido ancora più evidente a fine estate quando l’acero rosso lasciava cadere le foglie.
La bimba si adagiò sul morbido letto e fece ruotare lo sguardo, se fosse stata fortunata avrebbe potuto vedere un uccelletto. Un pettirosso apparve dal nulla, saltellò qua e là poi scomparve oltre il bordo, lei tentò di seguirlo e si affacciò. “Mamma, mamma!”, urlò più forte che poté.
Giunsero la signora e l’istitutrice e rimasero impietrite: tra i cespugli di oleandro giaceva un giovane uomo trafitto all’addome con una forca, un rivolo di sangue non ancora rappreso usciva dalla bocca e inondava l’orecchio al cui lobo brillava un tondo d’oro.
Miss Eleanor abbracciò la bambina sconvolta. “Bellina, tranquilla. Ora il gioco è difficile, siamo nelle caselle del rosso. Dobbiamo essere pazienti, presto verranno le caselle del verde e tutto sarà bello”, disse con dolcezza.
La piccola aveva fiducia nella sua tata, accettò la spiegazione e si mise in attesa.
L’ispettore incaricato delle indagini si trattenne una settimana alla villa e dopo innumerevoli interrogatori redasse un rapporto in cui si affermava che la vittima era un nomade visto in paese poche volte dall’inizio dell’anno. Inoltre sei testimoni affermavano che uno straniero dal turbante bianco aveva alloggiato presso uno di loro per alcuni giorni ed era sparito subito dopo l’omicidio. Riguardo l’arma del delitto, essa proveniva dal capanno degli attrezzi peraltro accessibile a chiunque. Non rimaneva che formalizzare un’accusa contro ignoti.
Rientrato in città il funzionario, tornarono i nonni accompagnati da Berto e portarono un dono ai bambini, Bellina ebbe una graziosa scatola verde, l’aprì emozionata e trovò una meravigliosa bambola. Felice corse nella stanza dei giochi, dove miss Eleanor stava riordinando.
“Miss, il Gioco cambia, siamo nelle caselle del verde” disse allegra abbracciandola.
Tornò in corridoio vide la porta dello studio socchiusa e curiosò. Il nonno parlava con Berto.
“Fanne sei parti e paga i testi”, diceva consegnandogli un sacchetto di stoffa verde. “E questi sono per te” concluse porgendo una mazzetta di biglietti verdi anch’essi.
Bellina non ebbe più dubbi, era nelle caselle del verde, strinse la bambola ed uscì in cortile saltellando agile e leggera.