Contro la solitudine, la badante di condominio è una figura sempre più diffusa che riunisce in sé il valore della sharing economy e del mutuo soccorso.
Il C.C.N.L. per i dipendenti da proprietari di terreni e fabbricati prevede da tempo la possibilità di assumere, come dipendente del condominio, un assistente condominiale addetto all’assistenza di anziani e bambini. Questa nuova tipologia di lavoro, nella quale rientra la cosiddetta badante di condominio, è attualmente in corso, sia attraverso agenzie e cooperative che forniscono il servizio su chiamata dei condomini o delle loro famiglie, sia grazie ai progetti di politica sociale delle amministrazioni, con il coinvolgimento del terzo settore.
Imparare dal Nord Europa
L’idea all’estero non è nuova e rientra in quello che potremmo definire modello di welfare scandinavo da decenni nel dibattito politico-sociale, come progetto di coesione sociale e di sviluppo di una società solidale: meno strutture “chiuse”, come la classica casa di accoglienza, e sempre più soluzioni antisolitudine a misura di anziano. I condomini rimangono infatti uno dei pochi luoghi di aggregazione e socialità, nei quali è possibile, attraverso progetti mirati, combattere l’isolamento e fare squadra (pensiamo al “nonno in affido”). La cosiddetta “badante condominiale” è uno di questi.
I vantaggi per tutti
Non sempre gli anziani possono permettersi i costi di un’assistenza personalizzata, ma una sola badante all’interno di un condominio – che suddivide le ore di lavoro (e la parcella) tra più famiglie – può essere la soluzione vincente. Cucinare, fare la spesa, pulire la casa, svolgere nella sostanza tutti quei compiti quotidiani comunque pesanti anche per un anziano autosufficiente, ma soprattutto farlo col sorriso, scambiando quattro chiacchiere. In pratica l’intera giornata lavorativa si divide in tanti part time quanti sono le persone per le quali lavora. Col risultato di avere da un lato sempre la sicurezza di un aiuto al momento giusto (poiché è sempre presente all’interno del condominio) e dall’altro l’ottimizzazione del lavoro stesso (un’unica uscita per la spesa, ad esempio).
Le buone pratiche in Italia
Gli esempi in atto da qualche tempo in diverse città italiane dimostrano che si tratta di un’idea attuabile ed economicamente conveniente, che supera l’idea del condominio come fonte di liti e tensioni restituendogli il valore di luogo di incontro e solidarietà. A Bologna l’associazione Confabitare ha lanciato il progetto nel lontano 2012. A Milano l’iniziativa è partita un paio d’anni dopo in alcuni palazzi popolari, grazie all’intervento del Comune e si è poi diffusa in molte città italiane come Parma e Firenze, dove l’iniziativa è stata sperimentata su un nucleo di 4 anziani e la badante svolge il doppio ruolo di assistenza e socializzazione (nel senso che dopo l’assistenza a casa di ciascuno, riunisce tutti in un appartamento a turno).
L’esperienza di Pavia
Il progetto di Pavia nelle case Aler è stato uno degli ultimi a partire, ma ad oggi rappresenta un esempio virtuoso di riuscita, tanto che è di questi giorni la notizia di un ulteriore rinnovamento da parte del Comune, che lo finanzia con circa 35mila euro l’anno, e lo definisce una “esperienza positiva, da estendere ad altre strutture”. Nel tempo l’assistenza è passata da 10 a 40 ore settimanali, suddivisa su 22 anziani che possono contare su un supporto per l’igiene personale e della casa, accompagnamento e compagnia. È stata creata anche una mensa condivisa per aumentare le occasioni di incontro. Certo per portarlo avanti ci vogliono le persone e i fondi adatti: il progetto è gestito con impegno dall’onlus Vasi di creta, che ne è anche “custode sociale”, all’interno di un più vasto disegno di cohousing per gli over 65 partito nel 2008.
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