Secondo il Rapporto Migrantes, lo status di “protezione temporanea” concesso agli ucraini ha dato vita ad un’accoglienza efficace e puntuale, ma non va sempre così
È stato l’anno in cui la guerra d’Ucraina, nel giro di poche settimane, ha disperso nel cuore d’Europa milioni tra rifugiati e sfollati, come non succedeva dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. È stato l’anno in cui la stessa Europa si è mostrata capace di accogliere milioni di profughi ucraini senza perdere nulla in termini di benessere e sicurezza. Ma il 2022 è stato anche l’anno in cui l’Unione Europea ha fatto di tutto per tenere fuori dai propri confini poche decine di migliaia di persone bisognose, provenienti da altre rotte e da altri Paesi. Sono 103 milioni i rifugiati nel mondo, una cifra record mai raggiunta prima, pari ad un abitante su 77. Più del doppio rispetto a dieci anni fa, quando era un abitante su 167. Questi sono solo alcuni dei dati emersi nel Report 2022 sul Diritto d’asilo della Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Cei.
LA PROTEZIONE TEMPORANEA
Dallo studio emergono una UE e un’Italia a dir poco “sdoppiate”, solidali con gli ucraini e discriminanti e in violazione dei diritti umani e delle convenzione internazionali con altri. Agli ucraini in fuga, infatti, è stata concessa la categoria della “protezione temporanea”, introdotta da una direttiva nata dopo la guerra nella ex-Jugoslavia, che sino ad ora non era mai stata applicata. «Eppure ci sono state altre crisi; pensiamo ad esempio alla guerra siriana o anche alle crisi dei Paesi africani», spiega Maria Cristina Molfetta, che ha curato il volume insieme a Chiara Marchetti. «Però i Paesi non erano mai riusciti a mettersi d’accordo per attuarla, prima del conflitto iniziato lo scorso 24 febbraio – continua Molfetta -. Grazie alla protezione temporanea gli ucraini, hanno potuto passare le frontiere senza alcun impedimento, scegliere il Paese da raggiungere, quello in cui avevano dei familiari che potessero aiutarli, o che li soddisfaceva maggiormente. Per tutti gli altri, invece, il Regolamento di Dublino obbliga a fare domanda sul territorio del Paese di primo approdo». L’attivazione della cosiddetta direttiva 2001/55/CE (quella che definisce la protezione temporanea), applicata agli ucraini in fuga dalla guerra, ha mostrato che un sistema di protezione più umano, e attento ai bisogni dei profughi, è possibile. In Europa, però, ad oggi, vige un doppio standard in materia d’asilo. Ed il comportamento ambiguo di alcuni Paesi ne è la testimonianza. «Pensiamo solo alla Polonia – riflette Maria Cristina Molfetta – che ha accolto il numero più alto di ucraini, se non altro perché era il più vicino alla crisi. Ma lo stesso Paese, a poche centinaia di chilometri di distanza, ha continuato a respingere le persone nella foresta con la Bielorussia. Molte di queste erano siriani, afghani, gente che per raggiungere l’Europa stava attraversando la cosiddetta “rotta balcanica”, parliamo di numeri molto più ridotti, poche centinaia di persone, eppure per loro non c’è stato niente da fare, chiusura totale».
LE CAUSE
Sono cinque le grandi cause che costringono alla fuga sempre più persone: in primis, le guerre (oltre a quella in Ucraina, sono 46 i conflitti attualmente in corso, che nella stragrande maggioranza rimangono ignorati); poi ci sono le persecuzioni, a seguire le disuguaglianze e la povertà (che la pandemia ha soltanto aumentato, con il propagarsi della “nuova disuguaglianza” nell’accesso ai vaccini anti-Covid). La fame, la sete e il cambiamento climatico (e nel 2022 ci sono state tante catastrofi naturali che hanno fatto salire il numero di profughi e sfollati), ed anche il fenomeno della tratta e schiavitù. Oltre il 70% di chi lascia il proprio Paese cerca rifugio in uno Stato confinante, mentre solo una minima parte riesce a raggiungere l’Europa. Questo perché sono pochi, pochissimi, i canali d’ingresso legali e sicuri, e ciò costringe i profughi a mettersi nelle mani dei trafficanti e ad affrontare viaggi lunghi e pericolosi, seguendo molteplici direzioni. Le rotte principali di accesso all’Europa, ad oggi, continuano ad essere quella del Mediterraneo centrale e la rotta balcanica. Verso la fine di ottobre 2022, sulla rotta che porta verso l’Italia e Malta, si sono contati 1.295 morti e dispersi. Un numero che non può, e non deve, smettere di indignarci.
COSTRUIRE IL FUTURO CON I MIGRANTI E I RIFUGIATI
Il titolo del Rapporto Migrantes riprende le parole di papa Francesco pronunciate in occasione della 108ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Eppure siamo ancora lontani da quel monito, visto che le forme di riconoscimento e protezione subiscono una contrazione e una diversificazione che rischiano di creare rifugiati di “serie A” e “serie B”. «Nell’ultimo anno più di 22,3 milioni di persone hanno dovuto lasciare la casa a causa dei cambiamenti climatici, ma sono persone che faticano a vedere riconosciuto il proprio status, in assenza di un quadro condiviso che regola il diritto di accesso alla protezione internazionale», lamenta Maria Cristina Molfetta. L’impressione, però, è quella che si stia andando in una strada opposta: «Anziché allargare le buone pratiche, come la protezione temporanea, che hanno mostrato di funzionare per quanto riguarda gli ucraini, assistiamo ad un ritorno dei muri e dei confini in Europa, un atteggiamento che lede alcuni diritti fondamentali. Non abbiamo imparato la lezione, perché continuiamo a commettere gli stessi errori».
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