Un arrivederci o un trasferimento definitivo per nuove opportunità di lavoro e di vita. Lasciare l’Italia e stabilire la residenza in un Paese estero è una scelta che riguarda tutte le età. Coinvolge soprattutto i giovani, ma anche una quota importante della popolazione ultracinquantenne.
I trasferimenti sono in crescita, solo la pandemia con le conseguenti restrizioni alla mobilità nel 2020 ha frenato i movimenti migratori. Il 2019, però, ha segnato un ulteriore aumento degli italiani emigrati all’estero e il 13% riguarda proprio gli over 50. I dati, rilevati dall’Istat, sono contenuti nel report Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente – Anno 2019.
Tra espatri e rimpatri il saldo è negativo. E non partono solo gli italiani
Nel 2019 le cancellazioni anagrafiche per l’estero – ovvero le emigrazioni – sono state poco meno di 180mila (+14,4% sul 2018). Tre su quattro hanno riguardato italiani (122mila, +4,5%). A lasciare l’Italia, dunque, non sono solo gli italiani ma anche gli stranieri che hanno risieduto nel nostro Paese per un certo periodo.
Tra gli italiani espatriati c’è anche chi rientra dopo un’esperienza di vita all’estero. Troppo pochi però rispetto a chi decide di emigrare. Infatti, se si considera il numero dei rimpatri – 68.207 – e quello degli espatri – 122mila – il calcolo del saldo migratorio con l’estero degli italiani è negativo. C’è una differenza di 53.813 persone.
La fuga dei giovani che rimangono all’estero
Quasi tre cittadini italiani su quattro trasferitisi all’estero nel 2019 hanno 25 anni o più: sono poco più di 87mila (il 72% del totale degli espatriati). Non solo, di essi quasi uno su tre (28mila) è in possesso di almeno la laurea. Rispetto al 2010, inoltre, l’aumento degli espatri di laureati è più evidente per le donne (+8%) che per gli uomini (+3%). Tale incremento risente in parte dell’aumento dell’incidenza di donne laureate nella popolazione (dal 5,5% del 2010 al 7,8% del 2019).
L’altra faccia della medaglia è costituita dai rimpatri dei laureati. Così nel 2019, considerando il rientro degli italiani di 25 anni e più con almeno la laurea (15mila), la perdita netta di popolazione “qualificata” è di 14mila unità. Questo significa che negli ultimi dieci anni la perdita si è attestata intorno a 112mila laureati in meno.
In cerca di lavoro, di una buona retribuzione e con meno paura di partire
«Il trend in aumento degli espatri – scrive l’Istat – è da attribuire in larga parte alle difficoltà del mercato del lavoro italiano di assorbire l’offerta soprattutto dei giovani e delle donne». A queste si aggiunge il mutato atteggiamento nei confronti del vivere in un altro Paese delle generazioni nate e cresciute in epoca di globalizzazione. Un approccio diverso «che induce i giovani più qualificati a investire con maggior facilità il proprio talento nei Paesi esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione».
A poco sono serviti gli incentivi ai rimpatri: «I programmi specifici di defiscalizzazione, messi in atto dai governi per favorire il rientro in patria delle figure professionali più qualificate, non si rivelano quindi del tutto sufficienti a trattenere le giovani risorse che costituiscono parte del capitale umano indispensabile alla crescita del Paese».
Partono anche gli over 50
Come detto la decisione di trasferirsi all’estero riguarda soprattutto i giovani, ma non risparmia le generazioni più mature. Più nel dettaglio, l’età media degli emigrati è di 33 anni per gli uomini e 30 per le donne. Un emigrato su cinque ha meno di 20 anni, due su tre hanno un’età compresa tra i 20 e i 49 anni mentre la quota di ultracinquantenni è pari al 13%. Si tratta di quasi 16mila over 50 su 122mila trasferimenti. Fino ai 75 anni sono più gli uomini rispetto alle donne, ma le differenze si annullano dopo questa età.
Così, si espatria anche in tarda età, persino a 85 anni ed oltre. Il dettaglio arriva dal Rapporto Italiani nel Mondo 2020 di Fondazione Migrantes che comunque individua nella fascia di età tra i 50 e i 64 anni il grosso delle emigrazioni: poco più di 13mila persone al 1° gennaio 2020.
Perché si parte a 50 anni e più
Ai motivi di lavoro, almeno per le fasce più giovani, si sono aggiunte altre necessità. I profili dei nuovi migranti sono tratteggiati nel Rapporto della Fondazione Migrantes. In primis, quello del migrante previdenziale che ha avuto il suo culmine nel 2018 e, in parte, anche quelli del migrante genitore-nonno ricongiunto e del migrante di rimbalzo.
Con migrante previdenziale si intende il pensionato italiano – di lusso, colpito da precarietà o sull’orlo della povertà – che decide di partire per quei Paesi dove è in corso una politica di defiscalizzazione per turisti o persone anziane. Si tratta di territori dove la vita costa molto meno rispetto all’Italia e dove il potere d’acquisto è, di conseguenza, superiore.
Con genitore-nonno ricongiunto, invece, si intende quel genitore-nonno che per aiutare i propri figli all’estero con tutta la famiglia composta anche da bambini in età scolare o, addirittura, più piccoli, trascorrono periodi sempre più lunghi all’estero supportando figli e nipoti fino al completo trasferimento di tutto o di buone parti dell’anno.
Infine, per migrante di rimbalzo si intende chi, dopo anni di emigrazione all’estero, soprattutto in Paesi europei (Germania, Svizzera e Francia) oppure oltreoceano (Argentina, Cile, Brasile, Stati Uniti), è rientrato in Italia per trascorrere la propria vecchiaia “in paese”. Poi però rimasto vedovo/a, e magari con i figli (e i nipoti) nati, cresciuti e lasciati all’estero, decide di ripercorrere la via del rientro. Di tornare nella nazione che per tanti anni lo ha accolto da migrante e che oggi, considerate le difficili condizioni socio-economiche vissute dal Belpaese, gli assicura un futuro migliore.
Tutte motivazioni che negli ultimi 15 anni hanno fatto registrare un aumento dell’85,4% degli over 65 iscritti all’Aire, ovvero all’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero.
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