Attivismo, dinamismo e partecipazione. Tre parole per definire gli over 60 fotografati da una ricerca BVA Doxa, presentata in occasione dell’evento Seniors Impact Initiative nell’ambito del “SingularityU Italy Summit 2019”. Cosa dice? Che, tra gli over 60 italiani, oltre 2 milioni lavorano e più della metà lo fa per scelta.
Ma per capire meglio, abbiamo chiesto alla Ceo di BVA Doxa, Vilma Scarpino: «La sfida per aziende e istituzioni è iniziare a riflettere sull’evoluzione demografica come un’opportunità. Il capitale umano va considerato e valorizzato nel suo insieme e non in continue contrapposizioni (giovani vs vecchi). Per le aziende sarà sempre più importante fare evolvere il ruolo dei senior all’insegna di una sempre più proficua collaborazione fra generazioni».
Qual è l’immagine più generale dei senior che emerge dal vostro studio?
Sono persone ancora molto attive, che hanno desiderio di essere incluse nel mondo in cui vivono: il mondo del lavoro, della socialità. In sostanza, persone che vogliono partecipare. Per quello che riguarda il mondo del lavoro, hanno ancora voglia di essere della partita.
Di cosa hanno bisogno per riuscirci?
Trattandosi di persone che vogliono continuare a imparare, le aziende devono metterle in condizione di riuscirci. Serve attenzione dal punto di vista formativo. Tendenzialmente si crede che i senior siano refrattari alla tecnologia quando così non è: l’accettano, ne riconoscono il valore a tutti i livelli – nel mondo del lavoro, in famiglia, per la salute -; magari hanno tempi diversi rispetto ai ragazzi. Se dovessi dirla per immagini, direi che le parole chiave di questi nuovi senior sono “attivismo, dinamismo e partecipazione”.
Una vitalità che confermerebbe un altro vostro dato: un Paese, l’Italia, in cui si inizia a sentirsi vecchi non prima dei 70 anni…
È un dato sigificativo: solo in Finlandia vi è la stessa percezione. Nel resto del mondo l’inizio della vecchiaia è percepito in media intorno al 56° compleanno. Siamo abituati a parlare di over60 come persone che ormai hanno dato tutto nella loro vita e che non abbiano più prospettive: nella realtà, non è così. Se l’aspettativa di vita è, in Italia, di 83 anni, vuol dire che – a 55 – ho ancora trent’anni davanti a me. Quindi, di fatto, è inconcepibile che non ci si curi di questa fascia d’età, di queste persone che, per altri trent’anni, di fatto non coinvolgiamo in maniera corretta. Sul lavoro, sono persone con esperienza tecnica, esperienza da trasmettere. Questa è una frangia di popolazione che ha competenza e denaro: può contribuire esattamente come contribuiva prima. Anzi, meglio di prima.
Babyboomers e Generazione Z: un futuro comune davvero?
Sì, è importante e necessario se è vero (come è vero!) che all’interno di un’impresa oggi devono convivere quattro generazioni: dai neolaureati di 23/24 anni fino ai babyboomers che non se ne possono andare prima di 67. Ai senior i giovani possono dare la capacità di usare la tecnologia in modo più fresco; viceversa, i senior possono dare ai giovani quello che è il vissuto concreto dell’azienda o del mondo del lavoro: hanno l’esperienza della vita. Finché continueremo a ragionare per cateogorie – giovani vs vecchi – non andremo da nessuna parte. L’unica strada percorribile è una rotonda: dobbiamo trovare una circolarità, non delle vie parallele perché un giovane dovrà entrare in un’azienda, un senior la dovrà lasciare ma ci deve essere un intermezzo, una congiunzione.
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