Cresce la percentuale di copertura degli ingressi riservati ai residenti tra 0 e 2 anni, ma restano disparità territoriali. Federica Ortalli, presidente di Assonidi Confcommercio: «Il sistema pubblico spesso non riesce a rispondere alle necessità delle nuove famiglie»
Aumentano i posti disponibili nei nidi d’infanzia e nelle sezioni primavera. Secondo il report 2023 dell’Istat su asili nido e servizi integrativi per la prima infanzia, i nidi d’infanzia, che rappresentano l’80,6% dell’offerta complessiva, insieme alle sezioni primavera, che coprono il 12,7% dei posti e accolgono bambini dai 24 ai 36 mesi, hanno visto un aumento di circa 1.700 posti rispetto all’anno educativo 2020/2021. Questo incremento ha quasi completamente riportato i livelli di disponibilità ai numeri pre-pandemia del 2019. La percentuale di copertura dei posti rispetto ai residenti tra 0 e 2 anni ha raggiunto il 28%, con un incremento dello 0,8% rispetto all’anno precedente, un risultato attribuibile alla diminuzione delle nascite e alla conseguente riduzione dei potenziali beneficiari del servizio. A livello nazionale, persistono ampi divari territoriali nell’offerta educativa, che si spera possano essere ridotti grazie agli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) e alle recenti politiche di ampliamento e perequazione. Il Centro Italia e il Nord-Est superano in media il 33% di copertura, con il Nord-Ovest vicino all’obiettivo. Al contrario, il Sud e le Isole restano indietro, nonostante alcuni miglioramenti. L’Umbria si distingue come la regione con il più alto livello di copertura (43,7%), seguita da Emilia Romagna (41,6%), Valle d’Aosta e Provincia Autonoma di Trento (41,1%). La Toscana, il Friuli-Venezia Giulia e il Lazio superano anch’essi la soglia del 33%. Invece, le regioni del Sud, come Campania, Sicilia e Calabria, rimangono al di sotto del 15%, con la Sardegna che registra un livello relativamente alto (32,5%). L’Istat evidenzia che la frequenza dei servizi educativi per la prima infanzia in Italia è inferiore alla media europea. Nel 2021, solo il 33,4% dei bambini italiani tra 0 e 2 anni frequentava una struttura educativa, rispetto al 37,9% della media Ue. Paesi come Francia e Spagna superano il 50%, mentre l’Olanda e la Danimarca raggiungono rispettivamente il 74,2% e il 69,1%. Il report sottolinea la necessità di continuare a investire nei servizi per l’infanzia per colmare i divari esistenti e raggiungere gli obiettivi europei, garantendo così un futuro migliore per le nuove generazioni.
Ma come stanno le cose dal punto di vista di chi opera in questa tipologia di imprese? Lo abbiamo chiesto a Federica Ortalli, 56 anni, milanese, presidente di Assonidi Confcommercio con una ventennale esperienza nel settore: «La situazione del comparto privato è molto varia e differenziata, anche per luoghi territorialmente vicini. In particolare, nelle regioni del Nord Italia, come in Lombardia e in Piemonte, i capoluoghi di provincia registrano il più delle volte situazioni di overbooking. Il settore privato è talvolta preferito all’offerta pubblica per una maggiore flessibilità del servizio, più corrispondente alle esigenze e ai desiderata delle famiglie di oggi. A nostro parere, il sistema pubblico, rimasto ancorato a obsoleti standard, spesso non riesce a rispondere alle necessità delle nuove famiglie».
Altro annoso problema è quello delle graduatorie, ci spiega ancora Ortalli: «Premesso che il sistema delle graduatorie è una problematica che riguarda prevalentemente il sistema pubblico, a nostro giudizio non sempre le graduatorie nelle grandi città corrispondono ad una reale esigenza delle famiglie. Capita molto spesso che i genitori si mettano in lista per poi trovare soluzioni alternative all’interno del nucleo famigliare. È molto frequente anche la doppia iscrizione; per essere certi di vedersi assegnato un posto presso i servizi educativi, le famiglie iscrivono i propri figli contemporaneamente sia alla lista d’attesa pubblica che al nido privato. Questa pratica diffusa influisce in modo non indifferente alla generazione di liste d’attesa anche nel sistema privato».
Sicuramente importante è l’onere che pesa sulle famiglie che ricorrono agli asili nidi e anche in questo caso la situazione è diversa per il Nord, il Centro e il Sud Italia. «La retta media nel Nord Italia per il sistema pubblico – puntualizza Ortalli – si aggira attorno ai 500 euro mensili, fatte salve alcune realtà in cui il costo può arrivare nel privato a circa 750 euro e oltre, se si pensa a Milano, per i servizi più esclusivi. Al contrario, nelle zone del Sud Italia il costo può anche essere inferiore, attestandosi su un costo medio mensile di circa 400 euro. La differenza di costi tra pubblico e privato è dovuta a una maggiore offerta del servizio privato, che si concretizza in un’apertura sensibilmente maggiore (più giorni di apertura e orari prolungati) e una proposta “tutto incluso” (pannolini, pomate, laboratori di inglese, pasti e merende abitualmente inclusi). Inoltre, compresi nella retta del nido privato sono frequentemente offerti laboratori differenziati e iniziative ludico-pedagogiche che coinvolgono anche i genitori. Fortunatamente – conclude – ci sono aiuti a livello nazionale. Il ‘bonus nido’ erogato dall’Inps è il riferimento per qualsiasi famiglia con figli iscritti presso un servizio educativo per l’infanzia. A questo si aggiungono eventuali contributi regionali, diversi per ciascuna regione».
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