«Sapete dirmi cosa accomuna tutti noi?», chiede Ashton Applewhite alla platea che la ascolta. «Ve lo dico io: ogni giorno che passa, ognuno di noi diventa un po’ più vecchio».
La paura di invecchiare
Inizia così il suo discorso per TED, la serie di conferenze gestite dall’organizzazione privata no-profit Sapling Foundation. «Come vi sentite quando dico la parola “vecchio”? E cosa provate all’idea di diventare anziani?». Le domande che Ashton rivolge ai giovani ragazzi che l’ascoltano vogliono toccare un solo punto: il concetto di ageismo. Sì, perché, come la stessa Applewhite afferma, anche lei è sempre stata terrorizzata all’idea di invecchiare. «Avevo davvero paura di diventare, da un giorno all’altro, una di quelle anziane signore che vivono sole in una casa di riposo e convivono con qualche difficoltà fisica o cognitiva», racconta. «Poi ho scoperto che solo il 4% dei senior americani vive in struttura e la percentuale scende ogni anno che passa. Continuando a documentarmi ho avuto anche un’altra sorpresa. La stima delle persone affette da demenza o da Alzheimer era molto minore di quanto mi aspettassi. E come se non bastasse, in un modo del tutto inspiegabile per me, ho letto alcuni studi che dimostrano come le persone colpite da queste malattie possano trovare una dimensione felice se seguiti da persone esperte e amorevoli».
La curva U della felicità
Le idee che la scrittrice americana aveva sulla vecchiaia, quindi, erano del tutto falsate e piene di pregiudizi. «Immaginavo che gli anziani fossero persone tendenzialmente tristi e che vedessero la loro fine sempre più vicina. Avevo paura che, compiendo 60 anni, sarei entrata anch’io in quella spirale discendente di pensieri. E invece…». E invece, documentandosi, Ashton è venuta a conoscenza della curva U della felicità, la teoria avanzata dai ricercatori di Melbourne e di Warwick secondo cui i momenti più felici nella vita sono quelli vissuti durante l’infanzia e durante la vecchiaia. «Lo studio raccoglieva dati da tutto il mondo e non trovava collegamenti con la situazione economica, il credo religioso o chissà cos’altro. È semplicemente fisiologico: quando siamo giovani, siamo speranzosi e vogliamo realizzarci, mentre da anziani abbiamo imparato a goderci il qui e ora. Così, conscia di queste nuove scoperte, sono diventata ossessionata dall’argomento: mi fermavo a parlare con amiche e parenti, raccontandogli che il meglio doveva ancora arrivare!».
Lo spettro dell’ageism
«Mi sono chiesta quale fosse la causa di una narrazione così negativa della vecchiaia e ho scoperto l’ageismo, quel tipo di discriminazione basato sull’età. Lo proviamo ogni volta che qualcuno presume siamo troppo vecchi per qualcosa, invece di scoprire chi siamo e di cosa siamo capaci. Ho cominciato a pensare a come parliamo degli anziani e mi sono resa conto che li raggruppiamo tutti in un’unica categoria. Se parliamo di “vecchi” ci riferiamo indistintamente a sessantenni e a centenari senza tenere conto che ci sono ben quattro decenni tra gli uni e gli altri. Se immaginate il contrario e pensate di usare il termine “giovane” per riferirvi a qualcuno di un’età compresa tra gli 0 e i 40 anni, è evidente quanto sia riduttivo». Così, Ashton è diventata portavoce della lotta all’ageismo, aprendo un blog e pubblicando il libro Il Bello dell’Età – Manifesto contro l’ageismo. Un volume che smonta, passo per passo, tutte quelle frasi e quegli atteggiamenti così radicati nella società, ma così intrisi di pregiudizi.
L’Age Pride, l’orgoglio dell’età
«Le preoccupazioni legate alla vecchiaia sono legittime e reali: rischiare di ammalarsi, di perdere il coniuge, di non avere abbastanza risparmi per permettersi assistenza in caso di malattia. Può succedere e può angosciare, ma non è l’anzianità in sé il problema. Il vero problema è legato a com’è percepita nella nostra cultura. Essere donna non è un problema, ma lo diventa, ad esempio, se nel mondo del lavoro si viene svalutate per questo. Si percepisce la difficoltà di essere donne perché nella società esiste il sessismo. E questo accade anche per altri motivi legati all’etnia o all’orientamento sessuale. Accade per tutti gli estremismi che etichettano le persone». Così, al grido di “Age-Pride” (orgoglio per l’età), Ashton Applewhite porta avanti la sua battaglia per una maggiore valorizzazione dell’invecchiamento.
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