Al via a Palermo un progetto sperimentale di recupero della memoria attraverso una serie di itinerari museali “speciali”.
Da qualche giorno Palazzo Abatellis, a Palermo, attende le persone affette da demenza senile con i loro caregiver. Lo scopo è offrire un approccio di cura non farmacologico alla demenza, nel tentativo di recuperare parte della memoria. “La bellezza che ci appartiene” – questo è il nome del progetto di arteterapia – nasce da un accordo tra il Policlinico palermitano Paolo Giaccone e l’Assessorato regionale dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana attraverso la Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, diretta da Evelina De Castro.
Un concentrato di bellezza e di arte
Dal 20 settembre, ogni 15 giorni, 16 pazienti in cura presso l’Ambulatorio di Psicologia clinica dell’Ospedale con i loro famigliari visiteranno in un percorso guidato di arteterapia il Museo di Palazzo Abatellis. Il complesso ospita, tra le tante opere di artisti siciliani, alcune di valore immenso come L’Annunziata di Antonello da Messina (icona del Rinascimento) e pregevoli tele fiamminghe del XVII secolo. Il progetto prevede 6 itinerari museali, sotto forma di percorsi guidati a tema: “paesaggio interiore”, “ritratti familiari”, “auto-ritratto”, “il corpo”, “la vita quotidiana: oggetti e immagini” e, infine, “lo spazio urbano”. L’obiettivo è attivare il recupero di brani di memoria autobiografica cercando di incidere sui centri emozionali del cervello.
Una terapia non farmacologica
A Palazzo Abatellis l’approccio è quello non farmacologico per pazienti geriatrici con un disturbo accertato di memoria e dell’umore. Viene realizzato attraverso “percorsi di bellezza museale per il recupero della memoria autobiografica dei pazienti”, spiegano gli organizzatori. Un tuffo nella percezione di sé, del proprio corpo, del paesaggio urbano e della vita quotidiana, per recuperare brani persi della memoria stimolando l’ippocampo, il centro del cervello che contribuisce al buon funzionamento della memoria. L’iniziativa si rivolge sia a chi è affetto dalla condizione in misura medio-grave, sia a coloro che si trovano nella fase iniziale della malattia.
L’arte come spazio in cui ritrovarsi
“La comunicazione visiva è una forma di espressione universale”, spiega Evelina De Castro. “È con questa consapevolezza che Palazzo Abatellis aderisce al progetto ospitando e mettendo a disposizione le proprie collezioni e le proprie competenze storico artistiche e tecniche dei beni culturali”. Inoltre, iniziative come questa aggiungono valore alle opere e al museo stesso, che diventa così un bene comune, essenziale e permanente dell’esperienza umana e non semplice accessorio e voluttuario.
I laboratori
Attraverso l’esperienza artistica, i ricercatori tentano di stimolare la memoria del paziente inviando precisi input nel tempo e nello spazio. Per questo dopo ogni visita è previsto l’allestimento di un “laboratorio esperienziale” condotto da psicologi ed esperti dell’arte con la funzione di aiutare l’anziano a rivivere il suo passato grazie alla creazione personale di un’opera. Un ulteriore effetto positivo per i pazienti è offerto dalla possibilità di dialogo e di stimolo che nasce dal confronto con le altre persone coinvolte. Ma soprattutto il progetto finisce col diventare un aiuto ai familiari-caregiver per stemperare lo stress accumulato dal carico dell’assistenza.
L’arte nella cura delle demenze
Da sempre l’arte svolge un ruolo “liberatorio”. Pensiamo ai cori delle tragedie greche o alle statue classiche che, con le loro linee perfette, trasmettevano l’ideale del kalòs kai agathòs (“bello e buono”), l’eroe greco per eccellenza. Ma è dal 1950 che inizia a svolgere un ruolo, riconosciuto dall’Oms, nella cura dei disturbi psichici e poi delle demenze.
Parafrasando George Bernard Show, se usiamo gli specchi per guardare il viso, usiamo l’arte per guardarci l’anima. Attraverso le diverse espressioni artistiche, infatti, è possibile puntare al raggiungimento del benessere interiore. Se nella demenza assistiamo ad una lenta perdita delle capacità cognitive, lo stesso non accade alle aree implicate nel processo emozionale e creativo. Per questo le arti, che non hanno un linguaggio né logico né grammatico, sono comprese dai malati anche in stato avanzato. E questi ultimi attraverso di esse sono in grado di esprimere i propri bisogni e il proprio vissuto.
Curare l’Alzheimer con la Sindrome di Stendhal
Sembra che sia possibile intervenire sul decorso dell’Alzheimer attraverso la Sindrome di Stendhal, la sensazione di stordimento che alcune persone provano davanti ad un’opera d’arte. L’immersione nella bellezza, che colpisce chi è estremamente sensibile, può infatti avere effetti straordinari sulle funzioni cognitive compromesse, provocando emozioni capaci di rallentare la malattia. A questa conclusione è giunto uno studio condotto dal Centro Alzheimer della Fondazione Roma che spiega i cambiamenti nei pazienti condotti a visitare i musei e poi coinvolti in attività artistiche, come pittura e danza. Questi, afferma Silvia Ragni psicologa e musicoterapeuta, “sono motivati a partecipare e percepiscono maggior benessere. Si riducono così i tipici sintomi negativi del comportamento, cresce l’autostima, il tono dell’umore e, di conseguenza, le stesse relazioni con operatori e familiari”.
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