In Italia, tra le criticità emerse con il Coronavirus, c’è sicuramente quella della Sanità. Ad esempio, nella Regione Lombardia, da decenni fiore all’occhiello per le sue strutture ospedaliere, il Covid-19 ha scoperchiato tutte le falle di un sistema che, seppur dotato di nosocomi all’avanguardia, non è abbastanza sviluppato per quanto riguarda la rete assistenziale sul territorio.
Non è un caso che, la partita per fronteggiare la pandemia, oggi si giochi soprattutto sul tema della Sanità e dell’assistenza domiciliare, cercando di colmare questo gap. Il Decreto Rilancio porta in dote al servizio pubblico 3 miliardi e 250 milioni. A questi vanno aggiunti i fondi arrivati con la Legge di Bilancio e con il Decreto di marzo, per un totale di 6 miliardi e 845 milioni.
Il Decreto Rilancio punta sulle “Usca” e sugli infermieri di quartiere
Il Decreto mira così a rafforzare la rete sul territorio attraverso le “Unità Speciali di Continuità Assistenziali”, le cosiddette Usca. Si tratta di organismi formati da dottori di guardia medica, di medicina generale e specialisti ambulatoriali. A loro il compito di seguire, a domicilio, le persone positive.
Ma per funzionare a dovere, l’ingranaggio chiave di questo meccanismo è rappresentato dagli infermieri di famiglia (o di quartiere). Queste figure sono chiamate a lavorare in sinergia con il medico di famiglia, mettendo su una piccola equipe medica operativa sul territorio, per incrementare l’assistenza domiciliare.
Secondo Decreto ne saranno assunti all’incirca 9.600. Ovviamente il numero massimo dipende dal bacino di riferimento di ogni azienda ed ente del Servizio Sanitario Nazionale: non si va oltre le otto unità infermieristiche ogni 50mila abitanti.
Ridurre gli accessi in ospedale: uno dei compiti degli infermieri
La figura dell’infermiere di famiglia (o di quartiere) servirà soprattutto a rinforzare la rete territoriale della Sanità, per ridurre gli accessi negli ospedali. Avrà quindi il compito della presa in carico preliminare dei casi più lievi di Covid-19, quelli che non necessitano di assistenza ospedaliera. Dovrà inoltre sostenere i percorsi di continuità assistenziale tra ospedale e territorio, nell’ambito dei servizi territoriali sociosanitari, residenziali o semi-residenziali.
Non è una novità della Fase-2
La figura dell’infermiere di famiglia è già ben salda in alcune parti del nostro territorio. Ed i risultati sono evidenti. Nelle Regioni dove l’infermiere di quartiere è attivo, c’è stata una riduzione del 20% dei codici bianchi al pronto soccorso e del 10% delle ospedalizzazioni. Tra gli enti capofila c’è il Lazio che, in una delibera per il potenziamento delle cure primarie, attribuisce un ruolo chiave alla cosiddetta Assistenza Proattiva Infermieristica per le attività domiciliari.
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