Max è un bambino piuttosto vivace. È travestito da lupo mentre rincorre il cane dentro casa, brandendo una forchetta. Un’attività che alla madre proprio non piace per la quale lo rimprovera aspramente, mandandolo a letto senza cena. “Quando ti comporti così, sembri un mostro selvaggio”, gli dice. Tra le mura della sua cameretta, in castigo, il bambino comincia a immaginare un mondo abitato da veri mostri selvaggi in un viaggio che sembra durare anni, tanto da fargli sentire la nostalgia di casa.
È la storia del libro per bambini “Nel paese dei mostri selvaggi” di Maurice Sendak che dal 1963 affascina grandi e piccini, ispirando anche videogiochi, illustrazioni, composizioni musicali e adattamenti per il teatro ed il cinema. Un libro che parla d’immaginazione, di sogno, di fantasia ma tratta anche temi come la paura, l’abbandono, la rabbia. Perché il mondo dell’illustrazione riesce a fare proprio questo: parlare di temi profondi partendo da immagini che possono sembrare semplici. A Spazio50 lo racconta Arianna Papini, docente del laboratorio di illustrazione alla Settimana della Creatività di 50&Più. Un’occasione per tutti quei senior che amano coltivare le proprie passioni artistiche e scoprirne di nuove.
Arianna Papini, cosa spinge un over 50 a cimentarsi nella realizzazione di un’illustrazione?
Io stessa sono una over 50 che si cimenta nel mondo dell’illustrazione quindi sento di avere una forte empatia rispetto a questo a tema. Tengo molti corsi per adulti sul recupero di quest’arte che si trova già dentro di noi. Già da bambini, infatti, è presente anche se andando avanti magari non ce lo ricordiamo. Molto spesso la perdiamo a fronte di qualche commento negativo. Ma il nostro modo di fare arte non è altro che un modo di narrare, di raccontare. Basti pensare ai nostri antenati che l’hanno usata per raccontarsi all’interno di grotte buie. La creatività ci ha aiutato a superare la paura del mondo quindi si può dire che l’arte è consolazione e non conosce età in questo senso. Credo sia un grande errore quello di finalizzare l’arte – cioè accettarla – solo quando si può vendere o esporre a grandi pubblici.
Lei ci ricorda che le illustrazioni affondano le loro origini in tempi molto lontani e accompagnano la storia dell’uomo fino ai tempi odierni. Oggi quali sono i contesti in cui le illustrazioni vengono maggiormente utilizzate?
In moltissimi contesti, per fortuna. Esistono persino capi di abbigliamento illustrati ed è tornato in voga l’uso delle pubblicità illustrate. Non dobbiamo pensare che l’illustrazione abbia un target perché è universale. L’immagine, come abbiamo detto, è un modo per comunicare e può essere utilizzata ovunque. Basti pensare all’arteterapia con cui si cerca di esprimere ciò che si ha dentro e che, magari, non si riesce a spiegare a parole.
Negli ultimi anni diversi studi hanno scoperto che la creatività può essere allenata e accresciuta. A tal proposito lei segue un metodo per stimolarla quando crea le sue illustrazioni? Vorrebbe dare qualche suggerimento ai lettori?
Personalmente ho il problema inverso. Amo talmente il mio lavoro e lo trovo così bello che la testa va sempre in giro a pensar cose nuove. Ho sempre un taccuino in cui mi annoto le idee, ad esempio. Credo che questo sia dovuto al fatto che non passo mai un giorno senza disegnare. Il mio consiglio è lo stesso che diede Leonardo Da Vinci: “Trovate uno spazio per la vostra arte e la vostra espressione artistica, qualunque essa sia”. Il trucco quindi, se c’è, è quello di non lasciare mai un giorno senza esprimere la propria arte. Che siano anche solo cinque minuti al giorno. In questa Settimana, in particolare, abbiamo l’occasione di vedere come si intersecano varie arti in un luogo unico e di una bellezza incredibile di cui noi stessi ci nutriamo. Questo ci porta a capire che l’arte non ha suddivisioni, è possibile trovarla ovunque.
L’illustrazione spesso accompagna la parola scritta. Secondo lei quest’arte può vivere di vita propria o deve necessariamente essere un accompagnamento visivo?
Non c’è alcun bisogno che ci sia una scrittura vera e propria, ma ci dev’essere per forza una comunicazione. Ai miei studenti dico spesso “Se non hai niente da dire, non parlare”. E questo vale per tutto, anche per l’illustrazione. Altrimenti si fa un atto vuoto, privo di senso. Noi illustratori abbiamo il dovere di parlare per chi non lo fa e spesso ci troviamo a veicolare messaggi importanti tramite figure piccole, semplici, come quella di un orsetto, ad esempio. Possiamo parlare di uguaglianza, di temi sociali, del rapporto con la nostra Terra maltrattata. Di moltissime cose. E non c’è bisogno che ci siano parole. Esistono, ad esempio, i silent book. Io ho realizzato un libro che si chiama REvolution ed è un libro “silenzioso” con cui ho vinto il Silent Book Contest 2017 e nonostante io sia abituata a parlare moltissimo, quella è stata un’esperienza splendida. Il tema su cui mi sono dovuta basare per realizzare l’illustrazione mi ha lasciato senza respiro e partiva da una rivelazione. Alcuni scienziati, infatti, hanno scoperto che veniamo tutti dalla stessa famiglia: l’umanità intera ha una porzione di DNA remoto che condividiamo gli uni con gli altri. È un pezzetto iniziale che ci accomuna tutti. E ho pensato di dirlo ai bambini in un libro dove non ci fossero parole, ma solo immagini. Un libro che non avesse bisogno di essere tradotto. È una storia circolare che parla un po’ della vita di ognuno. Perché si parte da un posto che è “casa”, ma poi nel viaggio ritroviamo altri luoghi che sono “casa”. Come succede ai partecipanti di questa Settimana che dedicando del tempo all’arte, ritrovano sé stessi.
Ci sono molti modi di comunicare e di illustrare. Quali materiali si possono utilizzare, sia digitali che analogici, per realizzare un’illustrazione?
Io amo molto provare nuovi materiali. Ed è anche un mio dovere, in qualità di docente, per rispondere al meglio alle domande degli studenti. Quindi è necessario conoscere un materiale, ma anche provarlo perché nelle mani di ognuno di noi reagisce in modo diverso. Io uso di tutto, quando mi serve, e consiglio a chiunque di farlo. Se ho bisogno di stare molto su un’immagine illustrata uso l’olio, se devo realizzarla velocemente uso l’acrilico. Durante il lockdown, ad esempio, ho usato il tablet per inviare le mie immagini a un editore lontano. Dobbiamo imparare le tecniche per applicarle quando è necessario. Spesso gli studenti si sono specializzano solo su un materiale per le illustrazioni, consiglio loro di provare altre tecniche e poi tornare alla loro specializzazione. È un modo per tornarci arricchiti e avere anche altre strade aperte.
Un’ultima domanda: può dirci qual è la “cassetta degli attrezzi” di un illustratore alle prime armi?
La stessa di un illustratore che ha già pubblicato molti libri. Grande umiltà, sincerità, divertimento, sapere che si può sempre imparare e avere sempre una scatola di colori con sé per le “crisi di astinenza”. Senza dimenticare di avere uno sguardo sempre curioso: l’errore più grande è chiudersi e pensare di sapere già tutto. Nelle immagini che noi stessi creiamo c’è sempre una sorpresa e chiunque può vederci qualcosa di nuovo.
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