ARI è un “robot sociale”, frutto della ricerca sull’Intelligenza Artificiale del progetto europeo SPRING. Sarà programmato dal Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione (DISI) dell’Università di Trento per interagire con gli anziani. Ce la farà?
ARI è alto 160 centimetri e pesa 60 chili. Sa camminare e parlare. Muove le braccia e gli occhi e nella “vita” vuole fare il caregiver. Per questo, da Barcellona è arrivato all’Università di Trento per una formazione speciale sul campo. ARI è infatti un “robot umanoide sociale”, frutto della ricerca sull’Intelligenza Artificiale dell’azienda catalana PAL Robotics. Sarà programmato dal Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione (DISI) dell’Università di Trento per interagire con gli anziani. Ce la farà?
La rivoluzione dei robot sociali
Fra i primi test cui sarà sottoposto ARI, la valutazione di quanto riuscirà a farsi accettare da pazienti, anziani e personale sanitario nel lavoro di accoglienza e supporto in ospedali e RSA. ARI è stato infatti progettato nell’ambito del programma europeo SPRING (Socially Pertinent Robots in Gerontological Healthcare). Il programma punta proprio sui robot sociali per dare una mano in contesti sanitari e di assistenza, con la collaborazione di diverse realtà universitarie e partner imprenditoriali. Robot come ARI – spiega l’Università di Trento – sono programmati per sviluppare capacità avanzate di dialogo e di analisi di dati, come audio e video. Inoltre, devono essere in grado di interagire in modo quanto più naturale possibile con più persone simultaneamente. Negli ultimi anni, i robot sociali sono stati introdotti con successo in numerosi luoghi pubblici come musei, aeroporti, centri commerciali, istituti bancari, oltre che ospedali e residenze di assistenza.
ARI sarà programmato per muoversi e dialogare
Sul fronte dell’interazione e della comunicazione con le persone, le premesse sono incoraggianti. “ARI – spiega il DISI – combina l’espressività dei gesti delle braccia e mani, i movimenti della testa, le animazioni degli occhi e dei led insieme alle funzionalità di sintesi e riconoscimento vocale. Il touchscreen integrato nel petto permette la visualizzazione di contenuti multimediali e offre un’interfaccia intuitiva per gli utenti. I suoi punti di forza sono l’ampia dotazione tecnologica e la potenza di calcolo: condizioni ideali per sviluppare l’apprendimento automatico”.
“Lo programmiamo anche perché possa avere capacità di linguaggio sofisticate – spiega la professoressa Elisa Ricci, coordinatrice del progetto per Trento -, il più possibile naturali che gli consentano di interagire al meglio con pazienti e persone anziane. Può muoversi nello spazio, girarsi, parlare, monitorare dove si trovano persone ed ostacoli o visualizzare contenuti e può essere adatto, ad esempio, per mansioni di accoglienza o per supportare le attività di riabilitazione interagendo con il personale medico e sanitario”.
Oltre l’interazione, ARI riuscirà ad emozionarsi?
Ma, oltre al movimento e alla comunicazione, c’è di più per ARI. “Il nostro progetto – sottolinea la professoressa Ricci – punta a capire se il robot potrà essere accettato dai pazienti: una sfida che richiede competenze interdisciplinari, come la psicologia e le scienze cognitive, che vanno oltre le tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. In questo, in aiuto di ARI arriverà anche ARTEMIS (Assistive Robots wiTh EMotIonal Skills). Finanziato dalla Fondazione VRT, il nuovo progetto punta a sviluppare algoritmi per aiutare i robot sociali ad interpretare lo stato emotivo degli interlocutori. Obiettivo: migliorare la sua capacità di interazione con gli umani. “Il robot – spiega l’Università di Trento – dovrà tenere conto anche delle informazioni di contesto che necessariamente influenzano lo stato affettivo in cui si trova una persona. Per farlo servirà sviluppare nuove metodologie che integrino visione artificiale, elaborazione dei segnali audio e apprendimento automatico”.
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