Sono passati centodieci anni e cento edizioni del festival estivo da quando l’anfiteatro ha ridato alla lirica il suo “bel cielo”. Tutto nacque da un’idea del tenore veronese Giovanni Zenatello
Tenore per caso dopo aver studiato da baritono, voce “brunita” capace di spaziare dall’Otello di Giuseppe Verdi alla Bohème di Giacomo Puccini, primo Pinkerton nel debutto della Madama Butterfly nel 1904, Giovanni Zenatello ebbe un ruolo determinante nel proporre l’Arena di Verona come palcoscenico d’eccezione per l’opera lirica. Quasi cinquantenne, il 10 agosto del 1913 allestì e interpretò (nel ruolo di Radames) l’Aida di Verdi, per celebrare nell’inedita ambientazione dell’anfiteatro romano il centenario della nascita del “cigno di Busseto”. Non fu l’unico capo di genio di Zenatello, come artista e poi come maestro di canto che lanciò la carriera del soprano Lily Pons e poi di Maria Callas, scelta nel 1947 per interpretare La Gioconda di Ponchielli proprio all’Arena. Ma l’azzardo del 1913 resta il fiore all’occhiello del tenore veronese: un rischio anche finanziario, che si trasformò in un clamoroso e durevole successo. Il sodalizio tra lo splendido scenario dell’Arena di Verona e la magia dell’opera sfociò nell’organizzazione di un festival lirico estivo, giunto quest’anno alla centesima edizione. L’ha festeggiata, per tutta l’estate fino al 9 settembre, un cartellone eccezionale, con rappresentazioni di quattro opere di Verdi (Nabucco, La Traviata, Aida e Rigoletto), due di Puccini (Tosca e Madama Butterfly) e in più Il Barbiere di Siviglia di Rossini e la Carmen di Bizet. Prestigiosi anche gli incontri con i protagonisti della lirica e del balletto: da Placido Domingo a Roberto Bolle, da Jonas Kaufmann a Juan Diego Florez.
A ricordare l’intuizione che decretò di fatto la nascita del festival lirico è il pronipote di Giovanni Zenatello, che del tenore porta lo stesso nome. Presidente dell’Unione degli albergatori veronesi, proprietario e gestore dello storico hotel Accademia situato nel centro di Verona, a due passi dall’Arena e dalla “casa di Giulietta”, parla del matrimonio tra l’opera e l’anfiteatro romano come di un’autentica “rivoluzione culturale”. «Mi piace dire che nell’agosto del 1913 a Verona sbarcarono i marziani. L’Arena e tutta la città conquistarono istantaneamente una visibilità internazionale che neanche avrebbero potuto immaginare solo pochi giorni prima. Il merito fu di un ‘self-made man’ che si era messo in testa di restituire alla sua terra la fortuna che la sorte e l’humus di quella terra gli avevano regalato. Ottavo figlio di un panettiere, rapito dalla passione per il canto, lodato e scritturato da Toscanini, divenne un tenore di fama mondiale, l’autentico contraltare del divo Caruso. Ebbe un successo strepitoso in America e si mise a inseguire il sogno di portare l’opera al popolo, fare in modo che anche i più poveri potessero ascoltarne la bellezza. L’Aida del 10 agosto 1913 ebbe 22.000 spettatori, una cifra enorme per l’epoca. Era stato lui a concepirne l’idea, un giorno in piazza Bra con alcuni amici, lui a testare per primo, con uno dei suoi poderosi acuti, l’acustica dell’anfiteatro. Molti anni dopo avrebbe fatto debuttare all’Arena Maria Callas, che aveva ascoltato a New York nella sua scuola di canto e che fece ospitare dalla sua famiglia a Verona prima che la carriera della ‘divina’ decollasse». Una parabola gloriosa e ancora troppo oscura, quella di Giovanni Zenatello: nell’hotel del pronipote una sala raccoglie cimeli del tenore e foto d’epoca, con tanto di dediche di amici e ammiratori (la regina d’Austria, Enrico Caruso, Giovanni Pascoli). Un libro scritto dalla figlia, Giovanni Zenatello, tenore, ne ripercorre la vita di pioniere audace e visionario, che meriterebbe tributi in grande stile.
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