L’alimentazione plant based sta diffondendosi sempre più. Personale, ecologica, etica ed estremamente salutare, sta cambiando i consumi degli italiani.
Okinawa è l’isola giapponese dove è nato il karate. Da lì quell’arte marziale, che unisce metodi di combattimento locali e cinesi, si è diffusa in Giappone e poi nel mondo a partire dai primi decenni del secolo scorso. La pratica di questa disciplina a mani nude, e di tutte quelle del kobudo – che utilizzano vari attrezzi, falce, remo, zappa, bastone e così via, come armi -, è uno dei fattori che hanno permesso agli abitanti della più estesa isola dell’arcipelago delle Ryukyu di essere il territorio in cui la popolazione raggiunge il più alto indice di longevità al mondo.
Attività fisica, ma soprattutto dieta plant based
Secondo tutti gli esperti è però la cosiddetta “dieta di Okinawa” a essere determinante per lo stato di buona salute degli abitanti, cui si sommano un inquinamento bassissimo e alcune caratteristiche genetiche. È un mangiare sano e limitato, i cui elementi principali sono una ciotola di riso, del pesce crudo, molti vegetali, frutta e il tofu. È a questa alimentazione che si rifà quella che oggi si sta sempre più diffondendo anche da noi con la definizione plant based, “a base vegetale”.
Non si tratta di una dieta specifica, ma di una serie di possibili diete che hanno la caratteristica di allineare cibi di origine vegetale, con l’aggiunta o meno, di tanto in tanto, di pollo, pesce bianco e uova.
La dieta plant based secondo l’Harvard Medical School
Questo metodo alimentare è nato come risposta individuale alla crisi ambientale. Infatti, è ecologico, salutare e privilegia una filiera etica, che valorizza i prodotti a km zero. L’Harvard Medical School specifica meglio: “Chi segue questo stile di vita evita farine bianche, latte, oli raffinati, carne rossa o trasformata. E predilige, invece, cibi che aiutano la salute cardio-vascolare e riducono i problemi legati a diabete, ipertensione e infiammazioni: verdure, frutta, cereali integrali, frutta secca a guscio. E un paio di volte a settimana si nutre anche di prodotti animali come pesci grassi, pollame, uova e yogurt.”
Un carrello della spesa più green
Anche da noi il carrello della spesa sta diventando sempre più green: è uno dei “vantaggi” che ci ha lasciato la pandemia. Il 26% degli italiani ha ridotto il consumo di proteine animali e circa metà ritiene di mangiare oggi in maniera più equilibrata e sana. Non solo sono aumentati i vegani e i vegetariani, soprattutto si è diffuso un approccio al mondo del cibo che porta a scegliere i prodotti non processati industrialmente, non troppo trattati, non derivanti da sfruttamento di risorse e animali, meglio se tipici o coltivati nel territorio. Cibi sani, le cui colture non inquinano.
Nel 2021 c’è stata una crescita di circa l’8% rispetto all’anno precedente con una spesa di oltre 20 miliardi di euro, che comprende anche molti alimenti trasformati a base vegetale, quelli che hanno fatto da traino a questo aumento. Soprattutto le bevande e i piatti pronti (polpette, burger…), ma anche surgelati, salse, besciamelle, condimenti e così via. Anche se il consumo di proteine animali resta alto – è stato calcolato in crescita del 2,6% nel 2021 -, ci stiamo avviando a un cambio collettivo di abitudini, di cui coloro che seguono la “filosofia” plant based sono l’avanguardia.
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