Concerto in diretta per il nuovo anno
Per domenica 10 gennaio alle ore 18 la 50&Più Toscana organizza il Concerto per il nuovo anno. Vuole essere un omaggio a tutte le Associazioni del Sistema 50&Più in Italia e nel mondo.
L’evento, che si terrà in diretta online dal Teatro Vasariano di Arezzo, potrà essere seguito tramite il seguente link di YouTube. Lo spettacolo comprende musiche di Bach, Beethoven, Bartok, Ravel, Gounod, Tosti e Morricone. Ad eseguire i brani Giuditta Ara (violoncello), Virginia Capozzi (violino), Lorenzo Magi (pianoforte) e Noemi Umani (soprano).
Coloro che possiedono una Smart Tv collegata alla Rete possono seguire il concerto direttamente sul televisore utilizzando il Canale YouTube dell’apposita App.
Johann Sebastian Bach (1685 – 1750)
Suite n. 1 in sol maggiore per violoncello solo, BWV 1007 (1720)
Prélude
Il Preludio della Prima Suite ha un carattere dimostrativo intimo, non esteriore, meno che mai esibito, in un certo senso addirittura interlocutorio. È come se qui l’autore presentasse con apparente semplicità le sue intenzioni, prima di allargare la forcella dell’utopia. Da una semplice serie di arpeggi spezzati, che sembra suggerita da una dinamica interiore, si sprigiona un’energia che si dispone in un’ampia arcata melodica, nella quale la purezza della linea conta più della massa del volume.
La scorrevole linearità del Preludio iniziale ci porta subito nell’atmosfera dei Preludi in forma di «studio» del Clavicembalo ben temperato. Il fluire ininterrotto del discorso musicale sembra soprattutto ricercare il fascino, delle concatenazioni armoniche, assai ricche e sovente venate di una certa asprezza, finché una lunga ascesa cromatica non conduce alla trionfante ampiezza di disposizione della chiusa.
Maurice Ravel (1875 – 1937)
Sonata n. 2 in sol maggiore per violino e pianoforte (1923-1927)
Secondo Movimento – “Blues”. Moderato
Il Blues, secondo movimento della Sonata per violino e pianoforte, è uno dei numerosi omaggi del Ravel postbellico alla musica americana. Qui, infatti, il compositore francese ricorre ai ritmi d’ oltreoceano tanto in voga nell’Europa musicale degli anni Venti.
L’introduzione produce un effetto quasi bitonale tra il violino pizzicato (sol maggiore) e il pianoforte (la bemolle maggiore).
In queste poche pagine di musica, viene fuori in maniera più che esplicita l’apertura di Ravel ad aspetti esotici insoliti, come l’impiego di certi atteggiamenti strumentali di stampo jazzistico, il frequente impiego di settime minori e dell’ostinato ritmico fatto di ritmi sincopati e puntati, il tutto però (e qui sta la genialità) senza venir meno alla struttura della forma-sonata di stampo classico.
Impossibile infine, per chi è più colto in materia, non cogliere delle idee ritmico-melodiche che nello stesso periodo (1924-1925) G. Gershwin, grande compositore americano, nonché allievo dello stesso Ravel, ha utilizzato nella sua celebre Rapsodia in blu e nel Concerto in Fa per pianoforte che vi invitiamo ad ascoltare. Chi avrà influenzato chi?
Béla Bartók (1881 – 1945)
Danze popolari rumene (1917)
1. Jocul cu bâtă (Danza del bastone) – Energico e festoso
2. Brăul (Danza della fascia) – Allegro
3. Pe loc (Danza sul posto) – Andante
4. Buciumeana (Danza del corno) – Moderato
5. Poargă românească (Polka rumena) – Allegro
6. Măruntel (Danza veloce) – Allegro- Più allegro
È noto come Bartók sia stato un ricercatore appassionato e scrupoloso di temi e di materiale folcloristico autentico, sia per riposarsi dalle fatiche di compositore di “musica colta” e sia molto probabilmente per rinfrescare la propria fonte di ispirazione. Questa attività gli permise di annotare e di raccogliere mediante registrazioni un numero impressionante di melodie popolari provenienti dall’Ungheria, dalla Romania, dalla Slovacchia e perfino dall’Anatolia.
L’intelligenza e il gusto del Bartók folclorico si possono cogliere nelle sei brevi Danze popolari rumene. Si tratta di componimenti piacevoli e musicalmente estroversi nei loro ritmi caratteristici, rispettosi dei costumi della comunità e della regione di origine, senza alcuna manipolazione accademica. La “Danza del bastone”, indicata da una melodia disuguale negli accenti, è stata raccolta a Mezözabad, nel distretto di Maros-Torda; la “Danza della fascia” è stata ascoltata a Egres, distretto di Tarontàl; della stessa provenienza è la “Danza sul posto”, mentre la “Danza del corno” proviene da Bisztra, distretto di Torda-Aranyos.
La “Polka rumena”, vivace e spigliata, è stata registrata a Belényes, distretto di Binar. L’ ultima danza, divisa in due parti brillanti e festose, proviene da Belényes e Nyàgra nella zona di Torda-Aranyos e conclude in un clima di cordialità popolaresca questo profilo folclorico di Bartók.
Tutte collegate, queste Danze dichiarano precisi riferimenti regionali cui rispettivamente hanno attinto; e formano un tutto compatto, nell’ambiente armonico modale ovviamente omogeneo, nella sequenza e nei contrasti dinamici e ritmici, oltre che in quelli espressivi, dall’accorata e nostalgica malinconia all’allegria sfrenata.
Provate a chiudere gli occhi, e ascoltate attentamente come il violino in qualche momento riesca a camuffarsi in una ghironda, in una cobza o in un cimbalom, strumenti tipici della tradizione folclorica rumena e caratterizzati da una differente modalità di produzione del suono: è proprio qui che viene fuori tutta la bravura dell’interprete e esecutore, è qui che sta il “virtuosismo”.
Ludwig van Beethoven (1770 – 1827)
Sonata per violoncello e pianoforte n. 3 in la maggiore, op. 69 (1807-1808)
Primo Movimento – Allegro ma non tanto
Le Sonate per pianoforte e violoncello, pur essendo soltanto cinque, si estendono nell’attività creatrice di Beethoven per un più lungo periodo di tempo che non quelle per violino. Le prime due Sonate, infatti, che costituiscono l’opera 5, risalgono al 1796, le ultime due (op. 102) sono del 1815. L’op. 69 fu abbozzata nel 1807 e completata nel 1808. Non senza ragione è la preferita dai concertisti; quella ove la concezione beethoveniana rivolta a fare della sonata violoncellistica un poema dialogato tra pianoforte e violoncello, delineatasi fin dall’op. 5, si realizza in termini di più compiuta bellezza e di perfetto equilibrio strumentale.
Una copia della prima edizione di questa composizione (che si trova alla Biblioteca di Stato di Berlino), offerta da Beethoven a un amico con una dedica autografa in data aprile 1809, porta queste significative parole di pugno dal musicista: «Inter lacrimae et luctum». Siamo negli anni della V e VI Sinfonia e dunque non dovrebbe suscitare eccessiva meraviglia il fatto che nel caldo stesso delle lacrime e del dolore sgorgassero note serene e vibranti di gioia come questa della Sonata in La. Del resto sono molti gli esempi in Beethoven di catarsi di un dramma non rivelato o appena adombrato: la stessa IX Sinfonia ha, se vogliamo, tale significato ideale.
L’Allegro ma non tanto d’apertura segue quelli che si considerano i paradigmi tradizionali della forma-sonata, senza alcuna eccezione di rilievo.
In questo caso però, l’atteggiamento di Beethoven nei confronti del violoncello rivela una consapevolezza incomparabilmente maggiore rispetto alle altre Sonate: non solo il rapporto fra i due strumenti si è finalmente attestato su una piena pariteticità, ma le caratteristiche espressive del violoncello vengono omaggiate senza più ombra d’impaccio, con l’impiego di una distesa e ricca cantabilità, spaziando nei diversi registri dello strumento fino a sondarne tutte le risonanze poetiche possibili.
Da notare l’eccezionale afflato lirico, dove il pianoforte viene come coinvolto dal violoncello in un discorso poetico pervaso quasi costantemente da un senso di felicità e da un’espansività che trovano pochi (anche se precisi e illustri) termini di riferimento nella stessa storia del pianoforte beethoveniano.
Qui, ancor più che in altre Sonate, è indispensabile che il pianista sia nel violoncellista e viceversa, ed entrambi siano una cosa sola all’interno dello stesso respiro che mette in vibrazione l’aria.
Maurice Ravel (1875 – 1937)
Cinque melodie popolari greche (1904-1906)
1. Chanson de la mariée: Réveille-toi, perdrix mignonne – Modéré
2. Là-bas, vers l’église – Andante
3. Quel galant m’est comparable – Allegro
4. Chanson des cueilleuses de lentisques: O joie de mon âme – Lent
5. Tout gai! – Allegro
Le Cinq Mélodies populaires grecques furono scritte da Maurice Ravel su terni autentici di motivi popolari greci, provenienti da Costantinopoli e dall’isola di Chio, che erano stati raccolti da Michel Calvacoressi, uno tra i più intimi amici del musicista. Fu proprio Calvacoressi a chiedere a Ravel nel 1906 di armonizzare queste melodie che dovevano servire a illustrare una conferenza di Pierre Aubry all’Ecole des hautes études. Delle cinque melodie la più moderna è “Tout gai” che con ogni probabilità è della fine dell’Ottocento; antiche sono invece “Là-bas, vers l’église” e la “Chanson des cueilleuses de lentisques”. Ravel in quegli anni era molto attratto dall’esotismo e dal folclore e si gettò con entusiasmo nell’adattamento musicale di questi motivi popolari greci; e la sua armonizzazione è talmente appropriata, talmente efficace che si ha l’impressione che essa sia nata insieme alla melodia del canto.
Charles Gounod (1818-1893)
Romeo e Giulietta (prima rappresentazione nel 1867)
“Ah ! Je veux vivre dans le rêve” – Aria di Giulietta
I due protagonisti dell’opera, secondo la tradizione, dispongono di un’aria ciascuno. La prima che si incontra in senso diacronico è la valse-ariette di Juliette «Je veux vivre dans le rêve», nell’atto iniziale. Il carattere così leggero e ricco di effetti vocali fu probabilmente modellato sulla voce dell’interprete della première, Madame Miolan-Carvalho, moglie del direttore del Théâtre Lyrique, dove l’opera venne rappresentata per la prima volta il 27 aprile 1867.
È un esempio celebre di esaltazione delle abilità vocali, liriche e interpretative richieste al ruolo di Giulietta (soprano). Viene fuori qui tutto il virtuosismo vocale della cantante. La melodia è famosa, orecchiabile e molto ammaliante, tanto da lasciare a bocca aperta chi la ascolta.
Francesco Paolo Tosti (1846-1916)
‘A Vucchella (1907)
La canzone fu scritta da D’Annunzio a seguito di una sfida con Ferdinando Russo (poeta e autore di canzoni napoletane) riguardo alle capacità del poeta nel comporre versi in napoletano.
L’episodio risalirebbe al 1892 ed avrebbe avuto luogo presso il Caffè Gambrinus di Napoli, all’epoca luogo di ritrovo di poeti ed artisti. D’Annunzio inviò in seguito il suo testo a Francesco Paolo Tosti, anch’egli come D’Annunzio abruzzese, che ne compose la musica. ‘A vucchella riscosse notevole successo, pur non essendo una canzone di autori napoletani, anche grazie all’interpretazione di Enrico Caruso.
La bella e famosa melodia trasporta fra le vie della città partenopea, con un carattere ricco di fascino e sensualità.
Ennio Morricone (1928-2020)
Tema da “La leggenda del pianista sull’ oceano” (1998)
Celebre tema tratto dalla colonna sonora del più famoso film firmato G.Tornatore.
Presentato qui in una versione inconsueta, in cui l’iniziale introduzione a carattere di improvvisazione jazzistica del pianoforte lascia la parola alla voce che intona una dolce melodia ricca di nostalgia e malinconia. È uno dei momenti più intensi del film e la musica non può fare altro che abbracciare la trama, aumentando ed esasperando la sfera emotiva del protagonista.
Gabriel Fauré (1845 – 1924)
Requiem, op. 48 (1886-1887) – Pie Jesu
Gabriel Fauré scrisse il Requiem tra il 1886 e il 1887, in memoria del padre, morto a Tolosa nel 1885. Il lavoro fu eseguito per la prima volta alla Madeleine, nel 1888, dopo la morte anche della madre di Fauré e rimase l’unica opera di vaste dimensioni e con l’intervento dell’orchestra scritta dal compositore francese per la chiesa. Il Requiem fu nuovamente eseguito alla Madeleine nel 1924, per i funerali dell’autore.
La raffinatezza delle tinte, la sobrietà del canto, l’eleganza dell’esposizione, la discrezione del porgere non nascondono nel Requiem dì Fauré la solitudine amara di chi ha preso coscienza della sconsolata impotenza dell’uomo e ne esprime una dolente, equilibrata accettazione.
Il Pie Jesu, affidato interamente al soprano solista (o alla voce bianca), è la pagina forse più incantevole dell’intero Requiem, per la dolcezza della melodia e l’uso estremamente parco dell’orchestra.
Il soprano invoca per i defunti un riposo senza fine (non s’accontenta Fauré della liturgica «requiem»: aggiunge, a fugare ogni equivoco e come altri compositori prima di lui, l’aggettivo consolatorio «sempiternam»).
Su una nota tenuta dell’organo (qui dal pianoforte) la melodia, dolcissima e suggestiva, procede da quell’intervallo di quarta già incontrato, capovolto, nel fondamentale tema, delimitata dall’intervento discreto di un’orchestra dal colore sobrio: violini, viole e violoncelli sono divisi in più parti e tutti gii archi suonano con la sordina. La melodia d’incantato nitore viene ripetuta intensificata, accoglie un nuovo spunto tematico, prima di offrire una commovente, trionfale ripresa ed una fine che non recita la parola “Amen”: questa verrà sussurrata quasi istintivamente da tutti coloro che ascolteranno queste due pagine di musica. Due di numero. Finite ma eterne.