Nell’anno nero della pandemia i nuovi contratti di apprendistato sono diminuiti di più del 30%. Ma questo effetto non ha interessato tutte le fasce d’età. Cresce infatti il peso e il numero degli apprendisti over 30. Ma per l’Inapp il contratto di apprendistato resta sottoutilizzato e sottovalutato.
Con la pandemia, l’apprendistato ha subito una battuta d’arresto come contratto di ingresso nel mondo del lavoro. Con un’eccezione: ha continuato a crescere come canale d’occupazione per gli over 30. A segnalarlo è il XX Rapporto sull’apprendistato realizzato dall’Inapp (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) per conto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in collaborazione con l’Inps.
L’apprendistato colpito dal Covid in fase di decollo
Dal 2016 al 2019, sotto l’impulso degli incentivi ed esoneri dai contributi previsti dalla legge (ad esempio Garanzia Giovani, Occupazione Sud, Decontribuzione Sud, IO Lavoro), gli apprendisti – spiega il Rapporto – sono quasi raddoppiati (+47%). Nonostante ciò, per l’Inapp il contratto di apprendistato è ancora largamente sottoutilizzato: “Abbiamo una carta importante da giocare per il mercato del lavoro, ma stentiamo ad utilizzarla. L’apprendistato potrebbe essere uno strumento fondamentale per rispondere a quella domanda di figure professionali che ancora mancano sul mercato, eppure stenta a decollare”, spiega Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp.
Nel 2020, poi, a causa del Covid c’è stata una vera e propria battuta d’arresto: il numero medio di contratti di apprendistato è stato pari a 531.035, il 5,4% in meno rispetto all’anno precedente. La riduzione ha interessato tutte le aree del Paese, ma risulta più consistente al Centro (-8,1%) e al Nord Est (-6%). Sul dato incide il numero medio dei rapporti di lavoro in apprendistato incentivati, pari a 75.917, in rilevante aumento rispetto al 2019 (+21,4%). L’incremento nell’anno pandemico è dovuto fondamentalmente all’applicazione dell’agevolazione Decontribuzione Sud che, evidentemente, ha riguardato le regioni del Mezzogiorno. Tuttavia, è in sei regioni del Centro-Nord che continua a concentrarsi quasi il 68% dei contratti di apprendistato (Lombardia in testa; poi Veneto; Emilia-Romagna; Lazio; Piemonte; Toscana).
L’eccezione degli apprendisti over 30: gli unici a crescere nonostante la crisi
Nel complesso, le assunzioni di nuovi apprendisti sono diminuite di più del 30% (nel 2020 sono stati avviati 274.641 contratti, mentre erano stati 398.622 nel 2019). Ma questo effetto non ha interessato tutte le fasce d’età.
Anche se quasi la metà degli apprendisti continua ad avere fra i 18 e i 24 anni (46,3%), i giovani apprendisti perdono terreno a vantaggio dei senior. Nel 2019, infatti, gli under 24 erano il 47,9%. Nel 2020, il peso percentuale degli over 30 passa invece dal 10,5% all’11,8%. Inoltre, tutte le classi di età vedono diminuire il numero di apprendisti, ma non quella degli over 30 dove crescono del 7,0%, passando da 48.055 a 62.814. Questo a fronte di una riduzione del 19,8% degli apprendisti minorenni, dell’8,5% della fascia 18-24 anni e del 4,8% di quella 25-29 anni.
Gli apprendisti “over” prevalgono in particolare nel Mezzogiorno, dove le classi di età 25-29 anni e 30 anni e oltre raccolgono complessivamente il 59,1% del numero medio di rapporti di lavoro in apprendistato.
Per gli apprendisti “over” contratti più stabili
Agli over 25 vengono inoltre proposti contratti più stabili. È quanto emerge dal confronto fra due “generazioni” di apprendisti, che hanno iniziato un contratto di apprendistato nel 2015 e nel 2018, seguiti fino a dicembre 2020 o al mese di eventuale cessazione del contratto. L’Inapp ha rilevato non solo che la quota di contratti di durata superiore ad un anno è in crescita, ma anche che la maggior parte di questi contratti sono offerti ad over 25. In particolare, nel 2018 il 61,7% nella fascia 25-29 anni e il 61,2% agli over 30, a fronte del 42,1% ai minori e del 53% agli under 24 maggiorenni.
Oltre il 97% dei contratti è professionalizzante
L’andamento per classi d’età è coerente con il trend delle singole forme di apprendistato. Il professionalizzante (o apprendistato di secondo livello) si conferma infatti la tipologia più utilizzata, con un peso sul totale dei rapporti di lavoro negli ultimi due anni del 97,7% (nel 2018 era del 97,5%). Stabile invece il peso delle altre due forme di apprendistato, che portano al conseguimento di un titolo di studio. Per l’apprendistato di primo livello, che rilascia un titolo di istruzione secondaria superiore, si va dal 2,1% nel 2019 al 2,0% nel 2020. Quello di terzo livello o di alta formazione e ricerca resta fermo allo 0,2%.
Nell’anno clou della pandemia, il numero medio di rapporti di lavoro in apprendistato professionalizzante è stato pari a 519.072; il numero del primo livello a 10.686 e del terzo livello a 1.277. Dal 2016 al 2020 il professionalizzante è l’unica forma che si è mantenuta tutto sommato stabile nonostante la battuta d’arresto imposta dal Covid. Le altre due tipologie di apprendistato mostrano invece una tendenza decrescente dal 2016 e sino al 2020, raggiungendo poi valori minimi durante i mesi più duri della pandemia. Eppure, l’85,4% degli apprendisti neoassunti nel 2016 con un contratto di primo livello risulta ancora in attività lavorativa alla fine del 2020: l’80,8% ha un rapporto di lavoro dipendente (privato o pubblico) mentre nel 4,5% dei casi è diventato lavoratore autonomo.
Fra gli apprendisti più giovani cresce la disparità di genere
Guardando al genere, il 40,6% dei contratti di apprendistato riguarda le lavoratrici, in diminuzione rispetto agli anni precedenti (era il 41,6% nel 2019). La disparità di genere è inoltre molto più alta per le classi di età più giovani. Tra i minori la componente femminile nel 2020 è stata appena del 22,8%, mentre tra 18 e 24 anni sale al 35,5%, tra 25 e 29 anni si attesta al 44,8%; infine nella classe di età oltre i 29 anni la componente femminile è stata poco più del 46%.
Un contratto su cinque è nel Commercio
Nel 2020 i settori economici in cui il peso dell’apprendistato sul totale dei rapporti di lavoro è risultato maggiore sono il Commercio (20,9%), le Attività manifatturiere (17,2%) e i Servizi di alloggio e ristorazione (13,5%). Quest’ultimo è il settore che nel 2020 ha subito la maggiore contrazione rispetto all’anno precedente (-23,5%).
Sempre meno formazione (e finanziamenti pubblici) per gli apprendisti
L’Inapp rileva infine criticità sul fronte degli adempimenti previsti dal contratto di apprendistato. In particolare per quanto riguarda la formazione dell’apprendistato professionalizzante, la tipologia più diffusa. “Nel corso degli ultimi dieci anni – si legge nel comunicato stampa dell’Istituto – il tasso di copertura – ossia il rapporto tra gli apprendisti con contratto professionalizzante inseriti nei percorsi di formazione pubblica e il numero complessivo di apprendisti occupati con la stessa tipologia contrattuale – è stato di circa il 30%. Nel 2020 il rapporto scende ulteriormente (22,4%) a causa del divieto stabilito dall’Ispettorato nazionale del lavoro, per gli apprendisti beneficiari della cassa integrazione, di svolgere l’attività formativa, poiché nel periodo di erogazione della CIG Covid-19 risultava sospeso sia il rapporto di lavoro che l’obbligo formativo”.
Anche il finanziamento nazionale della formazione in apprendistato professionalizzante è stato gradualmente ridotto, da 100 milioni di euro del 2011 ai 15 milioni per le annualità 2017 e seguenti. Questo ha spinto Regioni e Pubbliche Amministrazioni a limitare a loro volta l’impegno a sostegno dell’offerta formativa: in dieci anni, dal 2011 al 2020, il livello di spesa si è ridotto di circa il 40%.
Questa progressiva riduzione della valenza formativa ha indotto molti esperti a considerare l’apprendistato più simile ad un contratto di inserimento al lavoro che a un contratto a causa mista (lavoro + formazione). “Tuttavia – ha sottolineato il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda – almeno sino a quando il professionalizzante rimarrà la tipologia prevalente di apprendistato, con un numero medio di rapporti di lavoro che anche nel 2020 era superiore a 500mila, sarebbe opportuno che la sua componente formativa, esterna e interna all’azienda, fosse in grado di promuovere lo sviluppo di competenze utili a facilitare l’inserimento e la permanenza al lavoro dei giovani e di rispondere alle esigenze del sistema produttivo”.
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