Un italiano su tre oggi vive da solo. Si tratta di 8,5 milioni di cittadini di cui quasi la metà over 65. Dai dati Istat emerge che le città dove ci sono più nuclei unipersonali sono Bologna, Milano e Roma. Nel capoluogo lombardo, in particolare, i senior rappresentano il 44,2% del totale dei “soli”.
I dati sono in crescita dato il progressivo invecchiamento. Se oggi le persone con almeno 65 anni rappresentano il 24% della popolazione, nel 2050 saranno il 34,9%. Tra questi, raddoppieranno gli over 80, che oggi sono il 7,6% e che nel 2050 saranno il 14,1% e cresceranno anche gli ultracentenari che passeranno dai 19mila del 2022 ai 77.900 del 2050. Il rischio è che sempre meno persone riescano a essere raggiunte da servizi socio-assistenziali adeguati.
Attualmente la presa in carico è già bassa rispetto alle necessità: su 3,9 milioni di persone non autosufficienti, solo il 6,9% è riuscito a trovare un posto in una RSA, mentre il 21,5% usufruisce di assistenza domiciliare.
“Solitamente questi servizi vengono fruiti da anziani che hanno già una rete familiare forte, mentre le persone sole sono spesso escluse – ha spiegato in un’intervista rilasciata al quotidiano Il Messaggero Elisabetta Notarnicola, coordinatrice dell’Osservatorio Long Term Care presso il Cergas Sda Bocconi – sia per ragioni economiche perché la presenza di una rete familiare gestisce maggiormente la possibilità economica di attivare servizi a pagamento, purtroppo costosi, sia perché l’accesso ai servizi implica procedure e decisioni che un anziano solo difficilmente prende, anche per maggiore reticenza.”
Gli assistenti alla persona
A sopperire almeno in parte alle lacune del sistema pubblico ci sono gli assistenti alla persona, che in Italia hanno toccato quota un milione 128 mila, fra lavoratori regolari e irregolari, che però non sempre hanno competenze accertate e sono in grado di occuparsi del benessere della persona, soprattutto se anziana.
“La capacità di intercettare gli anziani in difficoltà è minima”, ha aggiunto Notarnicola. “Con previsioni di spesa al ribasso è difficile pensare che il sistema sanitario si attivi in questa direzione. Bisogna mettere a sistema le informazioni contenute nelle banche dati pubbliche, di Inps e Agenzia delle Entrate, coinvolgendo i medici di base, perché conoscere le reali condizioni di vita delle persone è il primo passo per prevenire situazioni di disagio.
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