La condizione di vita degli anziani non può essere uguale a quella che ha preceduto la pandemia. Il virus che ha falcidiato una generazione, stroncato la memoria, creato un vuoto incolmabile, non può che aprire una profonda riflessione e dare delle indicazioni. Servono insomma nuove strade da percorrere, in grado di rimettere al centro la dignità delle persone anziane. Proprio come propone La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia, documento presentato dall’Accademia Pontificia per la Vita, presieduta dall’arcivescovo Vincenzo Paglia.
Il testo dell’Accademia Pontificia punta a ridefinire un nuovo modello di assistenza e ospitalità dedicate agli anziani più fragili, ma anche ad un ripensamento e “riqualificazione” generale della società. Cosa ci ha insegnato questa crisi sanitaria? «La pandemia – dice il Documento – ha fatto emergere una duplice consapevolezza: da una parte l’interdipendenza tra tutti e dall’altra la presenza di forti disuguaglianze. Siamo tutti in balìa della stessa tempesta, ma in un certo senso, si può anche dire che stiamo remando su barche diverse: le più fragili affondano ogni giorno. È indispensabile ripensare il modello di sviluppo dell’intero pianeta. Tutti sono interpellati: la politica, l’economia, la società, le organizzazioni religiose, per avviare un nuovo assetto sociale che metta al centro il bene comune dei popoli».
Il Covid-19 e gli anziani
Durante la prima ondata della pandemia una parte considerevole dei decessi da Covid-19 si è verificata negli istituti per anziani. «L’istituzionalizzazione degli anziani, soprattutto dei più vulnerabili e soli, proposta come unica soluzione possibile per accudirli, in molti contesti sociali rivela una mancanza di attenzione e sensibilità verso i più deboli». È perciò «quanto mai opportuno avviare una riflessione attenta, lungimirante e onesta su come la società contemporanea debba farsi “prossima” alla popolazione anziana, soprattutto laddove sia più debole».
Un nuovo modello di cura e di assistenza
Ma nel Documento si sottolinea anche la necessità di creare nuove e migliori condizioni di vita per gli anziani post-pandemia. «A livello culturale e di coscienza civile e cristiana, è quanto mai opportuno un profondo ripensamento dei modelli assistenziali per gli anziani. Imparare ad “onorare” gli anziani è cruciale per il futuro delle nostre società e, in ultima istanza, per il nostro futuro. Tra questi, vi è senz’altro il dovere di creare le condizioni migliori affinché gli anziani possano vivere questa particolare fase della vita, per quanto possibile, nell’ambiente a loro familiare, con le amicizie abituali».
La famiglia, la casa, il proprio ambiente rappresentano la scelta più naturale per chiunque. La persona, dunque, deve essere il cuore di questo nuovo paradigma di assistenza e cura degli anziani più fragili. «Ogni anziano è diverso dall’altro, la singolarità di ogni storia non può essere trascurata». Così: «Per individuare nuove prospettive abitative ed assistenziali è necessario partire da un’attenta considerazione della persona, della sua storia e delle sue esigenze». Si tratta di interventi articolati e su diversi livelli capaci di realizzare un «continuum assistenziale tra la propria casa e alcuni servizi esterni, senza cesure traumatiche, non adatte alla fragilità dell’invecchiamento».
Abitazioni sicure e confortevoli
In tale prospettiva, un’attenzione particolare va riservata alle abitazioni perché «siano adeguate alle esigenze dell’anziano: la presenza di barriere architettoniche o l’inadeguatezza dei presidi igienici, la mancanza di riscaldamento, la penuria di spazio devono avere delle soluzioni concrete». Il Documento punto molto sull’assistenza domiciliare che deve essere «integrata, con la possibilità di cure mediche a domicilio e un’adeguata distribuzione di servizi sul territorio». In altre parole: «È necessario e urgente attivare una “presa in carico” dell’anziano laddove si svolge la sua vita. Tutto ciò richiede un processo di conversione sociale, civile, culturale e morale».
Nel 2050 due miliardi di ultrasessantenni
Il Documento della Pontificia Accademia si sofferma anche sul progressivo invecchiamento della popolazione, evidenziando che «sotto il profilo statistico-sociologico, uomini e donne hanno in generale oggi una più lunga speranza di vita. Questa grande trasformazione demografica rappresenta, infatti, una sfida culturale, antropologica ed economica». Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2050 nel mondo ci saranno due miliardi di ultrasessantenni: dunque, una persona su cinque sarà anziana. «È pertanto essenziale rendere le nostre città luoghi inclusivi e accoglienti per gli anziani e, in generale, per tutte le forme di fragilità».
Gli anziani e i giovani, interdipendenti
Quanto al confronto con i giovani, il Documento evoca un «incontro» che possa portare nel tessuto sociale «quella nuova linfa di umanesimo che renderebbe più solidale la società». I giovani e gli anziani sono interdipendenti. Ogni individuo lo è rispetto all’altro, per questo: «La debolezza degli anziani è anche provocatoria: invita i più giovani ad accettare la dipendenza dagli altri come modo di affrontare la vita. Solo una cultura giovanilista fa sentire il termine “anziano” come dispregiativo».
«Una società che sa accogliere la debolezza degli anziani – è scritto nel Documento – è capace di offrire a tutti una speranza per il futuro. Togliere il diritto alla vita di chi è fragile significa invece rubare la speranza, soprattutto ai giovani». Così come: «Scartando gli anziani, si recidono le radici che permettono alla società di crescere verso l’alto e di non appiattirsi sui momentanei bisogni del presente».
La svolta culturale da mettere in atto
Il Documento si conclude con un appello alla società tutta. «Il paradigma che si intende proporre non è astratta utopia o ingenua pretesa, può invece innervare e nutrire anche nuove e più sagge politiche di salute pubblica e originali proposte di un sistema assistenziale più adeguato alla vecchiaia. Più efficaci, oltre che più umane». Perché: «Lo richiede un’etica del bene comune e il principio del rispetto della dignità di ogni singolo individuo, senza distinzione alcuna, neppure quella dell’età». Per questo: «L’intera società civile, la Chiesa e le diverse tradizioni religiose, il mondo della cultura, della scuola, del volontariato, dello spettacolo, dell’economia e delle comunicazioni sociali debbono sentire la responsabilità di suggerire e sostenere – all’interno di questa rivoluzione copernicana – nuove e incisive misure».
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