L’appello dei familiari degli ospiti delle case di riposo è forte e chiaro. Chiedono di poter vedere in sicurezza i loro cari, oggi a oltre un anno dello scoppio della pandemia.
La riapertura alle visite per decreto, voluta dal Ministero della Salute, si sta infatti rivelando più complessa del previsto.
A spiegarcelo, durante l’incontro che abbiamo avuto è Antonio Burattini, presidente del Comitato Anchise, che, da tempo, si adopera per restituire alle famiglie il diritto di ricongiungersi. È egli stesso parte in causa, dal momento che ha una mamma di novantuno anni che – da oltre un anno – non può vedere se non oltre un vetro.
L’intervista a Antonio Burattini, presidente del Comitato Anchise
«È evidente – dice a nome del Comitato Anchise – che situazioni di grave pericolo e, dunque, di emergenza giustifichino pro tempore misure rimesse all’iniziativa dei singoli. Ma in un regime di normalizzazione, benché in costanza di pandemia, le autorità sanitarie devono adeguarsi con uguali strumenti ad una fase di sia pur parziale andata a regime, a meno di ledere gli stessi interessi che sono chiamate a tutelare».
Ciò che contesta è che «Il documento emesso dal Ministero della Salute apre sì le strutture, ma comunque lascia una discrezionalità sempre al direttore sanitario delle stesse. Il vero problema sono poi le strutture non sempre organizzate in modo tale da permettere l’ingresso alle persone, nel senso che ci devono essere dei locali adatti e personale in grado di gestirle».
Regole sì, ma non per tutti uguali
In sostanza, spiega ancora, «In ogni realtà, ciascuno dà disposizioni diverse: chi fa la visita di un quarto d’ora; chi mezz’ora fino a un’ora, anche un’ora e un quarto. È tutto lasciato al libero arbitrio di questi direttori sanitari». E, dal canto suo, sottolinea che – anche nella sua personale esperienza – si «sia ancora agli ingressi con la vecchia metodologia: distanziati, con una finestra di mezzo, con la possibilità di visita per due persone ogni otto/dieci giorni».
Un problema che ormai si protrae da oltre un anno. Da quando il 5 marzo del 2020 le strutture tutte hanno chiuso per decreto e i familiari sono rimasti fuori.
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