Medico e odontoiatra, docente di Malattie odontostomatologiche, dopo essere stata la prima Preside della Facoltà di Medicina e odontoiatria, la Polimeni ha assunto il mandato di Rettrice de La Sapienza fino al 2026. La prima volta che una donna è alla guida del più grande ateneo d’Europa
L’offerta formativa 2020-21 dell’Università La Sapienza di Roma vanta 287 corsi di laurea (di cui 55 integralmente in inglese o con alcuni insegnamenti in lingua), 177 master e 196 corsi di dottorato di ricerca, di specializzazione e di alta formazione. Dal 1° dicembre li dirige la professoressa Antonella Polimeni, prima Magnifica Rettrice del più grande ateneo d’Europa.
Lei è la prima donna a guidare La Sapienza dopo 717 anni: crede ci possa essere un plus di genere nella sua prossima gestione oppure le vie per migliorare non attengono a questa diversità?
Intanto voglio precisare il fatto che questa circostanza, che ha avuto così eco dalla stampa, la comprendo ma non dovrebbe fare notizia, perché il tema è il percorso professionale di 25 anni in un’istituzione accademica. Inoltre, mi piacerebbe venisse evidenziato che sono stata eletta al primo turno di votazioni, con una percentuale molto alta, del 60,7%, fra tre candidati. L’iter che ha portato a questo risultato attiene certamente, per una quota parte, al metodo di lavoro che il genere femminile predilige. La mia operatività è sempre frutto della condivisione di idee e di espressioni portate da molti e da tutte le facoltà del nostro ateneo. Questo fa parte dello stile di leadership al femminile, che è più improntato all’ascolto, alla condivisione e al lavoro di rete. Questo sarà la cifra del mio rettorato.
Quali saranno i punti cardine del suo programma operativo?
L’università di domani dovrà essere sempre più centrata sugli studenti, sempre più inclusiva, sempre più internazionale, sempre più solidale, sempre più innovativa nella progettazione didattica, per costruire professionalità che sanno adattarsi al mercato del lavoro e a un mondo in continuo cambiamento. Insomma, una ricerca sempre più transdisciplinare, che incentivi le nostre eccellenze e i nostri giovani a rimanere all’interno dell’ateneo e di attrarne di altrettanto eccellenti da fuori.
Come giudica il distacco tra scienza e società che internet ha contribuito ad allargare piuttosto che ricucire?
Da un lato gli italiani, se intervistati, si fidano della scienza, ma poi i comportamenti sociali sono spesso divergenti rispetto a queste affermazioni. Pensiamo ad esempio al tema “no vax”. L’università ha una grande responsabilità nel saldare il rapporto tra scienza e società: è quella che noi chiamiamo terza missione. L’università ha il compito di portare all’interno della società civile la spiegazione alla collettività dei metodi scientifici e comunicare in maniera solida l’importanza della scienza. Si dice che la formazione deve seguire una tetra andragogia che sintetizziamo in sapere, saper essere, saper fare e saper comunicare. E il saper comunicare è un po’ il cardine di quanto le istituzioni universitarie debbano tendere, con le loro attività, a realizzare uno spirito di consapevolezza dell’importanza della scienza.
Lei crede ci sia un ruolo specifico delle donne nel mondo dell’istruzione?
Non deve essere assunto come cliché, ma l’approccio a tutte le funzioni di cura, e quindi anche a quelle di cura della formazione, sicuramente trovano nel genere femminile una predisposizione particolarmente spiccata. Però questo, se diventa uno stereotipo, impedisce in alcune discipline, tipicamente quelle Stem (acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics, è usato per indicare le discipline scientifico-tecnologiche, ndr), di incentivare le ragazze fortemente portate verso le scienze pure, rischiando di perderle nel percorso oppure di vederle accedere a facoltà umanistiche. Anche su questo tema serve un grande lavoro da fare a tutti i livelli scolastici.
Lei ha seguito tutto il cursus honorum degli incarichi universitari fino ad arrivare alla più importante responsabilità accademica italiana. Quali sono le qualità che servono per un percorso tanto impegnativo?
Serve grande determinazione, consapevolezza delle proprie capacità e convinzione di poter andare avanti tramite l’autorevolezza. E aggiungo, ma forse è la prima necessità, provare passione per quello che si sta facendo.
La Sapienza, nel più recente rapporto del World University Ranking, è arrivata al 171° posto, piuttosto vicina alla migliore italiana, il Politecnico di Milano, che è al 137°. Una posizione prestigiosa che sarà difficile migliorare… Noi ce la metteremo tutta per migliorare. È assolutamente un riferimento il tema del prestigio, della reputation all’interno delle classifiche internazionali, sia quelle generali che quelle per disciplina, che in alcune aree, le materie classiche e la storia antica, ci vedono già come la prima università al mondo.
Come crede impatterà questo lungo periodo di emergenza sulla formazione dei nostri ragazzi?
Al di là dell’emergenza che purtroppo si sta prolungando, credo che sia comunque da prendere come un momento di opportunità e di scelte. A cominciare dalla velocizzazione delle formalizzazioni delle aule, che ovviamente con l’emergenza abbiamo dovuto fare in tutti gli atenei con grande rapidità: sarà un patrimonio che rimarrà alle nostre strutture. Fermo restando che l’università è in presenza e nulla può sostituire il valore della presenza e dell’importanza che studenti e docenti vivano in comunità. Però questa esperienza choc della didattica a distanza ci potrà far riflettere su dei metodi di insegnamento innovativi e integrati. L’adeguamento tecnologico che abbiamo dovuto fare in tutte le nostre strutture potrà essere uno spunto per un’implementazione di ulteriori esperienze formative.
Lei era Preside di Medicina e odontoiatria. Come ritiene che l’offerta formativa universitaria possa aiutare quella ricostruzione della medicina territoriale che la pandemia ha dimostrato essere ormai non più procrastinabile?
Questa linea di implemento della medicina territoriale è insita nel curriculum formativo dei medici. All’interno dei nostri corsi integrati può essere ulteriormente analizzata. È importante che nella formazione del medico i temi della medicina territoriale, anche quelli della sua organizzazione di rete, vengano sempre più approfonditi.
Quanto tempo crede ci vorrà ancora per superare il gap tra le retribuzioni per genere, per abbattere il “soffitto di cristallo” che blocca le carriere delle donne, e il fatto che numerose ragazze finiscono prima gli studi e con voti migliori ma poi ottengono posti di lavoro peggiori di quelli dei maschi che magari hanno studiato insieme a loro?
Separiamo il tema del gap salariale da quello delle carriere. Io credo che per superare il divario serva che venga formalizzata la contrattazione di genere, l’unica che può ottenere risultati in questo ambito. Ovviamente è una scelta che non riguarda, se non lateralmente, l’università. Considerando poi le difficoltà che in questa fase di emergenza hanno ulteriormente messo un focus sull’occupazione femminile, è difficile parlare di tempi. È cosa nota che durante la pandemia il tasso di disoccupazione femminile è aumentato. La sofferenza del nostro Paese nell’ambito delle politiche di conciliazione tra lavoro, vita personale e familiare è un importante tema da affrontare. E lo vorrei collegare con un altro grande problema italiano, quello della denatalità. L’emergenza ha ulteriormente focalizzato questi problemi, mettendo in evidenza come formazione, ricerca e salute sono gli asset strategici di questo Paese.
Nel suo caso, chi o cosa l’ha aiutata di più a reggere la difficoltà di questo rapporto tra impegno e famiglia?
Ho avuto un grande sostegno dalla mia famiglia. Mi ha supportato molto mio padre, mi ha supportata molto mio marito, con il quale sono cresciuta. Eravamo compagni di liceo e abbiamo condiviso un progetto di vita continuativo. Evidentemente per conciliare lavoro e famiglia, ho avuto bisogno di aiuti a casa, che non sempre tutti possono ottenere. Per questo facevo riferimento a politiche di sostegno alla famiglia, che supportino le donne permettendo, a prescindere dalla loro realtà economica, di appoggiarsi a servizi e strutture, penso agli asili nido e quant’altro, non costringendole a dover decidere se lavorare oppure crescere i figli.
Donne al comando nelle università
Antonella Polimeni guida la prima università europea per numero di iscritti (oltre 115mila, di cui il 57% donne e 9.800 internazionali), con oltre 7.000 dipendenti (3.300 i docenti), 11 facoltà, due scuole superiori, 58 dipartimenti, 50 biblioteche, 18 musei e 2 policlinici. L’incarico per Antonella Polimeni, già Preside della Facoltà di Medicina e odontoiatria, prima donna eletta dall’Università La Sapienza anche per questo ruolo, durerà fino al 2026. Con la sua nomina hanno raggiunto quota 7 le rettrici negli atenei italiani, che ammontano a poco meno di cento. Le altre sono Tiziana Lippiello (Ca’ Foscari a Venezia), Maria Del Zompo (Università di Cagliari), Sabina Nuti (Scuola Sant’Anna di Pisa), Giovanna Iannantuoni (Università degli Studi di Milano-Bicocca) e Maria Grazia Monaci (Università della Valle d’Aosta), mentre Giuliana Grego Bolli si è poi dimessa dalla carica presso l’Università per stranieri di Perugia, a seguito della vicenda legata all’esame del calciatore Luis Suárez.
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