Di recente le Nazioni Unite hanno firmato una Dichiarazione per lanciare l’allarme sulla resistenza agli antibiotici. Un problema sanitario serissimo, aggravato dall’uso indiscriminato di questi farmaci negli allevamenti intensivi, che sta generando super batteri capaci di sfuggire alle cure. Negli ultimi decenni, l’abuso e l’uso improprio degli antibiotici, sia nella medicina umana che nella zootecnia, ha accelerato questo processo, trasformando infezioni un tempo facilmente curabili, in casi oggi difficili, se non impossibili, da trattare.
Negli allevamenti intensivi, la vita degli animali è spesso caratterizzata da condizioni di sovraffollamento, stress cronico e scarsa igiene; tutti fattori che compromettono il loro sistema immunitario, rendendoli più vulnerabili a malattie infettive. Per contrastare questi problemi, gli antibiotici vengono somministrati in modo massiccio, sistematico e indiscriminato, a volte persino a gruppi interi di animali sani. In alcuni casi, per stimolare artificialmente la crescita degli animali. Si tratta di un grave abuso zootecnico ed etico: esso favorisce la selezione di batteri resistenti, che possono trasferirsi all’uomo attraverso il cibo, l’ambiente o il contatto diretto. Il cosiddetto spillover, il salto di un microorganismo o di un virus da una specie all’altra.
Questo uso massiccio crea un circolo vizioso: gli antibiotici, invece di prevenire malattie in modo sostenibile, selezionano ceppi batterici resistenti. Questi ‘super batteri’ possono sopravvivere nei prodotti animali, nei fertilizzanti organici derivati da scarti di allevamento e nelle acque reflue, diffondendosi nell’ambiente e, appunto, raggiungere così l’uomo.
Le conseguenze sono drammatiche. Secondo le Nazioni Unite, l’inquinamento da antibiotici rappresenta una delle più gravi minacce globali alla salute: solo nel 2019, il fenomeno ha contribuito a 5 milioni di morti, di cui il 20% riguardava bambini sotto i cinque anni. Ma non è tutto. Sempre secondo le previsioni dell’Onu, entro il 2050 i morti per antibiotico-resistenza nel mondo potrebbero addirittura raggiungere i 10 milioni.
L’impatto di questo fenomeno non si ferma alla ‘sola’ perdita di vite umane, l’antibiotico-resistenza ha un effetto devastante anche sugli ecosistemi. Gli scarichi degli allevamenti intensivi, spesso ricchi di residui di farmaci, contaminano i suoli e i corsi d’acqua, favorendo la proliferazione di batteri resistenti, anche lontano dai siti di origine.
Per affrontare questa emergenza globale, la comunità scientifica propone l’approccio “One Health”, che riconosce l’interconnessione tra la salute umana, animale e ambientale. Una visione olistica che punta a integrare politiche sostenibili e pratiche responsabili, promuovendo una riduzione a livello generale dell’uso degli antibiotici e migliorando il benessere degli animali negli allevamenti.
Anche i cittadini hanno un ruolo cruciale nel contrastare l’antibiotico-resistenza. Scelte consapevoli, come privilegiare alimenti biologici o provenienti da filiere etiche, possono influenzare positivamente le pratiche negli allevamenti, così come una riduzione del consumo di carne e derivati potrebbe ridurre la pressione sulle risorse naturali e sugli ecosistemi.
L’antibiotico-resistenza è una crisi silenziosa ma devastante, amplificata da pratiche industriali che mettono gli interessi economici davanti alla tutela della salute. Gli allevamenti intensivi rappresentano un nodo critico, ma anche un punto di partenza per invertire la rotta. Attraverso politiche mirate, ricerca scientifica e scelte responsabili, possiamo affrontare questa minaccia globale e costruire un futuro dove la salute delle persone, degli animali e del pianeta siano finalmente considerate come un unico ecosistema interconnesso.
L’approccio “One Health” non è solo una strategia, ma un invito a ripensare il nostro rapporto con la natura, ponendo al centro la tutela della salute e il rispetto per la vita in tutte le sue forme. Anche, soprattutto, quelle future.
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