Anna Pellizzaro.
Nata a Padova, vive a Treviso. Ex insegnante elementare con la passione della scrittura e illustratrice per l’infanzia. Ha pubblicato due libri: “Grilli per la testa” e “Le indagini di Catturin”. Ha ricevuto riconoscimenti e premi, con i suoi alunni, dai quotidiani locali. Ha una spiccata predilezione per il mistero e illustra libri e racconti per la prima infanzia. Al Concorso 50&Più nel 2018 e 2020 ha ricevuto la Menzione speciale della Giuria per la prosa e nel 2019 ha vinto la Farfalla d’oro per la poesia.
Il sole tinge le nubi dell’orizzonte. Un acquarello rosa, rosso, violetto, grigio.
La giornata si conclude e la penombra avanza sul piccolo paese.
Le campane del vecchio campanile, stile gotico, salutano la valle.
Per tutti la giornata si chiude.
Ma, due sagome, in controluce si stanno osservando.
Una guarda dal basso verso l’alto, l’altra scruta dall’alto verso il basso.
Una è irrequieta, l’altra è rigida.
Quella in basso ha un incedere regale. Gira, ruota il capo e si sofferma incuriosita e inizia a parlare puntando gli occhi verso quella vaga somiglianza di se.
«Chi…chi…chi sei?».
«Sono uno, quasi, come te ma non balbetto».
«Allora mi vuoi dire chi.. chi…chi sei?».
«Sono sicuro che se te lo dico non mi crederai».
«Tu dimmelo, poi ci penso io se crederti o no. Ti ho messo a fuoco. Sei un pennuto come me».
«Ebbene, io ero, ero, ero: un Cannone! Si, mio padre non era un pollo che girava per l’aia e finiva in pentola. Era un cannone».
«Diciamo pure che l’hai sparata grossa. Chi… chi…chi ti ha fatto uscire? Chi… chi…chi ti ha portato lassù?».
«Un paesano, ritornato dalla guerra, ha trovato mio padre, il cannone, nel suo campo. Assieme ad tanti altri uomini l’ha trascinato da un fabbro e ha chiesto di trasformarlo in un simbolo di pace. Prima avevano pensato a due colombe. Troppo scontato non ti sembra?».
«Si, allora sei venuto fuori tu?».
«Io e le mie due sorelle qui sotto».
«Due galline?».
«No, sono le due belle campane che salutano tutto il paese all’alba».
«Sono io che sveglio il paese e saluto il sole».
«Nessuno vuole toglierti ii titolo di “re” del pollaio, ma un po’ di modestia non guasterebbe».
«Parla il figlio del cannone. Bum. Buum. Buuum. Palle a destra e a sinistra».
«Già, però il suo sibilo e rombo i guerra si e trasformato in scampanio di pace, in un volteggiare».
«Va bene, ho capito l’antifona, ma sei sempre impalato lassù da solo».
«Non sono solo. Gioco con il vento che mi avvolge in giri di valzer. Sento la pioggia con le sue gocce simili a note musicali. Vengo accarezzato dai fiocchi di neve, che a poco a poco mi vestono di un mantello di ermellino Sono felice. Vedo la tranquillità della vita, in questo paese. E tu?».
«Io sono triste. Non ho un padre d’acciaio, non ho sorelle squillanti e gli uomini mi curano per breve tempo. Ho visto mio padre trascinato per il collo, verso la cucina, da una massaia pettoruta. Le mie uniche ammiratrici sono: galline starnazzanti e stupide».
«Non parlare così. Tutti abbiamo uno scopo nella vita. Io non sono orgoglioso di un padre portatore di distruzione. Ma, non e sempre vero il detto “tale padre, tale figlio”. Tu, in primavera avrai il privilegio di essere padre di uno stuolo di pulcini».
«Che finiranno in pentola».
«Oppure diventeranno bei galli con le penne colorate come le tue e uno stuolo di ammiratrici. E non fare troppo il difficile. La vita tranquilla si rimpiange solo quando ci viene rubata».
«Ho capito. Noi siamo nati galli. Uno, segna vento e l’altro nel pollaio. Questa è la nostra collocazione nell’universo. Dobbiamo, quindi, godere del nostro stato e del tempo che ci viene donato sfruttandolo al meglio. Ciao e buona notte».