Anna Maria Pisani. Insegnante elementare in pensione. Partecipa al concorso da diversi anni nei quali ha collezionato numerose menzioni speciali della giuria e nel 2008 ha vinto la Farfalla d’Oro e la Superfarfalla sempre per la prosa. Vive a Lucca.
Il titolo del vecchio film si affaccia inaspettatamente alla memoria mentre sorseggio la mia solitaria tisana del pomeriggio. Perché questo ricordo improvviso di una pellicola vista tanti anni addietro e che non mi era nemmeno piaciuta molto?
Penso… mi guardo mentalmente intorno e… comprendo!
Quel titolo rispecchia perfettamente la mia situazione presente. A poco a poco tutti gli alberi che, verdi di affetti e profumati di speranze, affollavano la mia visione della vita e la rendevano felice e sicura sono scomparsi.
Sono sola in un deserto di ricordi.
Nonni, genitori, fratelli, amori, amici sono tutti spariti ingoiati dal grande NULLA ed anche la vita sociale è così velocemente cambiata che mi ritrovo sempre più esclusa nonostante i miei sforzi per restare aggrappata alla coda del tempo che sembra sfuggire sempre più veloce di ogni mia capacità di resistenza.
Ad acuire questa sensazione contribuisce anche la televisione che spesso ripropone film talmente vecchi che gli attori protagonisti, i miti della mia giovinezza, sono ormai tutti morti.
È pur vero che, forse per dovere di political correctness, vi sono anche trasmissioni in cui insieme alle varie rivendicazioni di molteplici categorie, si discute anche dei problemi degli anziani. Anziani! Che brutto termine! Sa di muffa, di obsoleto… “Che vuoi? Era anziano…Non posso, devo badare a un anziano…” si sente già l’insofferenza di chi parla. Perché non chiamarli semplicemente vecchi? A me piace la parola vecchio. Nella mia terra di toscana è con questo vocabolo che si indicano le persone più longeve e quando sento dire: “Il mio vecchio… I miei vecchi…” mi intenerisco un po’ perché mi pare di scorgere in quella voce un non so ché di affettuoso che mi rincora.
Ritornando all’argomento principale (cioè, alle varie tavole rotonde, talk show, ecc.) chiunque venga interpellato: geriatra, neurologo, psicologo, sacerdote che sia, si erge a paladino degli anziani e afferma che rappresentano un valore, una lezione di esperienza, un tesoro storico, un archivio di memorie non solo autobiografiche, ma anche linguistiche e semantiche ecc. ecc. Quindi gli anziani devono essere rispettati, assistiti, amati e coccolati come se fossero i nostri bambini.
Niente da eccepire, per carità! Magari! Ma non esageriamo, via signori esperti non
entusiasmatevi della vostra voce. Qualche difficoltà c’è nel realizzare i vostri consigli!
In pratica sono ben pochi coloro che ascoltano volentieri le reminiscenze dei vecchi e vogliono conoscere e profittare delle loro esperienze. Molti dubitano addirittura che le storie che raccontano siano del tutto veritiere e non fatti abbelliti, ampliati e magari un po’ inventati dalla loro poco lucida memoria. D’altro canto, si deve anche riconoscere che, a volte, i vecchi sono un po’ lagnosi (nessuno ha lottato e sofferto come loro) sono sordi quando non vogliono sentire e ciechi se non vogliono vedere. Riguardo poi al confronto con i bambini vorrei dire che il paragone non sempre è calzante. Cambiare il pannolino ad un bambino può essere un’esperienza olfattivamente nauseante, ma poi dare un bacetto o un amorevole simulato morsettino ad un culetto roseo e profumato di talco è gratificante mentre cambiarlo ad un vecchio è ributtante e basta. E non parliamo poi di bacetti….
Si dice anche che da vecchi si ritorna bambini e forse è proprio così perché, in questo momento, mi sento anch’io assai infantile cercando di fare la spiritosa come se l’argomento non mi riguardasse più di tanto, ma è il solo modo che ho per scrollarmi di dosso questa cappa d’angoscia che mi assale quando avrei tanta voglia di ricordare eventi, luoghi e persone con qualcuno che li abbia con me condivisi, confrontare le nostre memorie e ritrovare frammenti di vita vivi solo per noi in un angolo di tempo sconosciuto agli estranei. Purtroppo, nessuno risponde e così mi rendo conto che emozioni provate, esperienze vissute, eventi lieti e tristi che hanno punteggiato la mia vita, capacità acquisite, sentimenti, passioni e rimpianti “andranno irrimediabilmente perduti nel tempo come lacrime nella pioggia” (cfr. Blade Runner).
Anche questo è un prezzo della longevità e a comporre l’importo totale non basta la salute precaria, la limitazione dell’autonomia, l’infinita noia dell’inutile scorrere di giorni sempre uguali, privi di ormai impossibili desideri e pieni di domande che resteranno per sempre senza risposta. Tra tutti questi costi la solitudine dei ricordi è, per me, la spesa più ingrata da pagare e questa amara sensazione fa nascere un pensiero improvviso: “Forse è meglio morire da giovani, quando la vita è un frutto succoso, una pesca vellutata senza le ammaccature delle delusioni e dei disinganni. Quando credi ancora di poter scegliere il tuo avvenire e non hai dubbi sui tuoi ideali; quando pensi che cinquanta anni siano un’eternità e che nessuno potrà impedirti di viverli alla grande. Morire da vecchio è triste, spesso solitario, a volte umiliante. Sentire il proprio corpo decadere, il cervello appannarsi, le prospettive rarefarsi, il tempo scorrere velocissimo, dà una pena struggente e continua, ma quasi vergognosa da palesare. Morire da giovane può essere esaltante, può persino trasformarti in un mito e renderti così immortale. Morire da vecchio è squallido e soprattutto…assolutamente inevitabile”.
No, questo è solo un brutto pensiero, grigio come questo giorno di pioggia autunnale che macera foglie ingiallite e utopistiche speranze.
No. Non voglio che la tristezza diventi padrona del mio cuore e della mia mente. Anzi, da oggi in poi non sarò più la vecchia zia, decana della famiglia, a cui si deve educato rispetto per le idee un po’ retrograde e amorevole indulgenza per le mancanze dovute agli insulti del tempo.
No, da oggi ritengo raggiunto il grado più alto della mia carriera di essere umano e mi proclamo anch’io VETERANA DELLA VITA e come un coraggioso superstite, sarò orgogliosa di appuntare sul mio petto le mostrine delle molte battaglie a cui ho partecipato. Quelle vinte ed anche quelle perdute perché tutte hanno contribuito a plasmare la mia vita.
Basta con le querimonie!
E poi, chissà, forse domani sarà un giorno di sole.