Dopo la laurea in Lettere collabora con il Comune di Milano a diversi progetti culturali. Del suo ruolo di direttrice del Polo d’Arte Moderna, ottenuto nel 2017, dice: «Un processo professionale che, seppure molto impegnativo, mi sentivo di sostenere»
La cagliaritana Anna Maria Montaldo è direttrice del Polo di arte moderna e contemporanea del Comune di Milano, che comprende il Museo del Novecento, il Mudec, Museo delle Culture, e la Gam, Galleria Nazionale di Arte Moderna. Li dirige, supportata da due conservatori per ogni museo, e coordina la realizzazione di opere nei luoghi pubblici e i progetti di cooperazione e inclusione culturale.
«Anche quando l’arte era commissionata da papi, vescovi o principi rispondeva a delle logiche. Di potere o di autocelebrazione, diverse dalle nostre – ci dice quando le chiediamo se il mercato non abbia fatto perdere all’arte quasi tutta la sua aura -. Oggi siamo abituati a collegare immediatamente l’arte antica ai grandissimi, Michelangelo, Leonardo, Raffaello, però il sistema dell’arte comprendeva anche moltissime figure minori. Non voglio paragonare certo l’arte italiana di oggi alla grande stagione del Rinascimento, non mi interessa. Penso che comunque le logiche fossero le stesse. L’aura in molti casi, però, non era così convincente neppure prima del mercato, perché rispondeva a strategie non sempre dettate dalla necessità di fare grande arte».
La sociologa Natalie Heinich del Cnrs di Parigi individua in tre punti il “paradigma contemporaneo” dell’arte: gusto per lo scandalo e la trasgressione, confronto solo con un pubblico di iniziati e strategie tese a dimostrare che il valore dell’arte non risiede nell’opera in sé ma in un gioco di discorsi sociali e mediatici. Lei è d’accordo? Aggiungerebbe qualcosa?
Non sono totalmente d’accordo. Questi sono sicuramente alcuni degli elementi che intervengono nel realizzare un’opera di arte contemporanea, però penso che davvero determinante sia l’idea, il comunicare un pensiero, che può essere rivoluzionario, al di là del fatto che sia più o meno provocatorio o scandalistico. Conta l’originalità e il coraggio di un pensiero nuovo. Il riconoscere la potenza dell’arte in un’idea, e non tanto in un manufatto o in una capacità tecnica, è la caratteristica più convincente dell’arte contemporanea.
L’arte nel tempo ha avuto il compito di insegnare cosa pensare, cosa credere, cosa immaginare. Quella di oggi, che a volte teorizza il caos oppure inventa linguaggi con lo scopo di confondere e simulare, non è anche teoricamente diversa?
No. L’arte, quando è tale davvero, non solo un gioco o una provocazione, quando non è fine a se stessa, credo sinceramente offra grandi intuizioni, grandi idee, capaci di interpretare la realtà. Davanti a un impacchettamento di un edificio come faceva Christo oppure a quanto fa Cattelan in altri modi, siamo di fronte a un’espressione alta e profonda di arte.
È vero che le donne oggi sanno raccontare meglio e senza filtro ciò che succede?
Penso di sì, per ragioni che derivano dalla storia dell’evoluzione umana femminile. Le donne hanno dovuto adattarsi e affrontare tante situazioni insieme, infatti si dice che sono multitasking, mentre l’uomo riesce a fare solo una cosa alla volta. Probabilmente la necessità di dover affrontare, di saper leggere con duttilità realtà così diverse fa loro mettere in campo una dose di coraggio e di audacia in più. E poi sicuramente le donne sono meno legate ai vincoli dei poteri forti, almeno finora, e pertanto sono più libere.
«I musei devono continuare a reinventarsi per poter dare un importante contributo al cambiamento del mondo», lo dice Alberto Garlandini, nuovo presidente del prestigioso International Council of Museums. Ma è questo il vero compito di un museo?
Sicuramente è uno dei ruoli che ha un museo. Il museo oggi è un istituto molto diverso da quello che era fino ai primi decenni del ’900. Non è più esclusivamente un ente di conservazione oppure rivolto solo a un’élite, è un centro propulsore di idee, un centro scientifico, un luogo veramente di tutti, di riferimento per la comunità. Sia nel piccolo paese che nelle grandi città c’è comunque un legame con la comunità tutta, con la sua educazione e formazione, con il sociale, perché è anche l’ambiente dove le persone devono stare meglio. E non in una situazione di soggezione, come avveniva in passato, con la grande monumentalità, le scalinate per accedere ai saloni immensi, che pur mantengono il loro fascino. Il museo è cambiato nella sostanza e lo dimostrano le stesse strutture così accessibili dei nuovi edifici che li ospitano. È il luogo dove veramente si potrebbe migliorare il mondo.
Quale rapporto deve avere un museo con le mostre che vi si svolgono?
Le mostre hanno una funzione importante per il museo, la cui offerta deve essere interdisciplinare e garantire sguardi da diversi punti di vista, ma non devono sottomettere l’importanza della struttura museale all’attività espositiva. Soprattutto devono essere un’interpretazione, un racconto, una nuova narrazione che parte dal contenuto e dalla mission del museo. Non credo che un museo debba impoverirsi per ospitare grandi mostre, le cosiddette blockbuster, per fare più visitatori possibili, per avere grande visibilità. Credo sia profondamente sbagliato. Le mostre devono avere il loro appeal, essere attraenti, ma soprattutto devono scavare nelle collezioni del museo, essere di ricerca, un tramite per la conoscenza scientifica.
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