Antonio Mumolo racconta l’associazione ‘Avvocato di strada’, oltre mille professionisti che tutelano gratuitamente i diritti dei senza dimora
«In strada c’è una grande fame di diritti», e il volontariato rappresenta una risorsa. A dirlo è Antonio Mumolo, avvocato di Bologna, con una lunga esperienza di volontariato con le persone senza dimora. Da giovane volontario, negli Anni ’90, ha scoperto che chi vive nell’invisibilità ha bisogno di un aiuto anche giuridico per poter difendere i propri diritti fondamentali, come la salute, la residenza o la sicurezza di un alloggio. È nata così, nel dicembre del 2000, l’idea di Antonio Mumolo di fondare l’associazione “Avvocato di strada”, di cui è presidente. Un progetto che da Bologna ha coinvolto negli anni tanti volontari, avvocati e non solo, in numerose città italiane dove ci sono persone senza dimora. Con 60 sportelli, mille avvocati volontari e 45mila persone difese «siamo diventati lo studio legale più grande d’Italia – sorride dicendolo Antonio Mumolo – e anche lo studio legale che fattura di meno, praticamente! Per statuto, nessuno di noi può guadagnare niente».
Un gratuito, e volontario, patrocinio che punta a creare anche un cambiamento culturale, a giudicare dalle battaglie su cui siete impegnati.
Cerchiamo di cambiare la mentalità corrente, secondo la quale chi è povero è colpevole di esserlo. Non ha fatto abbastanza, non ha lavorato abbastanza, e quindi è colpevole. E se è colpevole, va punito. Noi cerchiamo di far capire che la povertà non è una colpa, è una condizione in cui ogni persona si può trovare in un momento della sua vita. E soprattutto, che dalla povertà si può uscire. Questo lo facciamo con le nostre cause, ma anche facendo advocacy. Cercando cioè di capire quali sono le problematiche più importanti per le persone senza dimora e facendole diventare battaglia, anche politica.
L’ultima, importante, battaglia vinta è quella per il medico di base diventata legge nazionale lo scorso 6 novembre. Quali sono altri diritti, che mancano alle persone senza dimora, su cui siete ancora impegnati per la tutela?
In questi anni abbiamo portato avanti con tutte le nostre forze questa battaglia, perché fosse riconosciuto il diritto fondamentale di curarsi anche a chi ha come unica colpa quella di essere povero. Una battaglia iniziata 15 anni fa, per dare il medico di base alle persone senza dimora, prive di residenza. Una legge che adesso consentirà a migliaia di persone in strada di avere almeno il medico di base, e non dover ricorrere al pronto soccorso solo per un raffreddore. Quella della residenza anagrafica, poi, è un’altra nostra battaglia, la prima, che prosegue. Nonostante le cause vinte, tanti comuni non danno ancora la residenza alle persone senza fissa dimora. Le ragioni sono emerse da una ricerca che abbiamo fatto con due ricercatori universitari su 300 uffici anagrafe. C’è chi dice “Non do la residenza a chi è povero”, altri dicono “Non do la residenza a chi non è nato in questo comune”. Cose assurde, ma questa è la realtà. Un altro impegno è per il diritto alla mobilità. In Emilia-Romagna abbiamo fatto in modo che le persone indigenti, quindi non solo chi è senza dimora, ma anche altri come i pensionati al minimo, avessero un abbonamento semestrale gratuito rinnovabile. Se ci fosse in tutta Italia, sarebbe molto importante.
Qual è la condizione delle persone anziane che vivono in strada?
Il tema degli anziani in strada è un tema grosso. Ce ne sono tantissimi. In Italia, una persona di 55 anni che perde il lavoro, se non ha una famiglia intorno, finisce in strada. E dalla strada ne esce solo se qualcuno gli dà un aiuto, un supporto. Alcuni anziani hanno ancora capacità lavorativa. Un 60enne vivendo in strada sembra vecchissimo, ma può ancora lavorare e ottenere un piccolo reddito. O una pensione, altrimenti.
Il vostro è un volontariato trasversale, sia perché coinvolge avvocati e non solo, ma anche in termini di età. Come una vostra volontaria senior, ottantenne.
Sì, Anna. Lei era un’assistente sociale, e quando è andata in pensione è venuta a darci una mano. Quando arriva qualcuno a cui abbiamo fatto prendere la residenza e che deve rivolgersi ai servizi sociali, interviene Anna e lo instrada verso il percorso da fare per farsi aiutare. Poi c’è chi si occupa del sito, ad esempio, o chi fa accoglienza, e chi accompagna agli enti le persone e segue la pratica.
Come dice il vostro motto, che dà anche il titolo al libro le cui vendite servono a sostenere l’associazione, “Non esistono cause prese”. Un’ispirazione per tanti avvocati. Cosa direbbe, in più, per incoraggiare un collega avvocato a fare questo tipo di volontariato?
Gli direi di ricordare una frase del nostro padre costituente, Piero Calamandrei, che dice così: “La legge è uguale per tutti, è una bella frase che rincuora il povero quando la vede scritta sulla parete di fondo delle aule giudiziarie. Ma quando si accorge che per invocare l’uguaglianza della legge a sua difesa, è indispensabile l’aiuto di quella ricchezza che non ha, allora quella frase gli sembra una beffa alla sua miseria”. E poi di ricordare che tutelare i diritti delle persone più deboli, alla fine, significa tutelare i diritti di tutti quanti noi.
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