L’equivoco e il mistero sono serviti. Subito, al primo colpo. La copertina e il titolo del nuovo romanzo di Andrea Vitali, la terza serie dedicata alle indagini del maresciallo Ernesto Maccadò, sono già tutto un programma. A partire dal titolo, Un uomo in mutande (Garzanti), che crea un certo contrasto con la copertina del libro, visto che gli uomini in mutande sono quattro. È il primo mistero, che si va ad aggiungere agli altri misteri che si sviluppano all’interno del romanzo. Come in tutti i romanzi di Andrea Vitali, dalla narrazione genuina, non manca la consueta dose di buona ilarità. Non ci sono omicidi, ma casi da risolvere tipici della commedia di provincia, di un’altra epoca, quella degli Anni ’20 e ’30.
Ora però concentriamoci su Un uomo in mutande e sulla vicenda dei quattro uomini in copertina. A spiegare l’equivoco è proprio l’autore del romanzo: «È stato tutto occasionale. Un colpo di fortuna. Il titolo era stato fissato precedentemente, poi quando ho visto la copertina, che è divertentissima, mi sono reso conto che creava un ulteriore equivoco visto che nel corso della storia di uomini in mutande ne compaiono tre. Poi c’è anche un altro aspetto, intimo e famigliare, perché mi sono detto “quelli siamo io e i miei tre fratelli in un’altra epoca ritratti con quei tipici mutandoni”. Per cui è stato un concorso di circostanze fortuite che però hanno trovato una loro logica, se si può dire così».
A che punto è nel romanzo la vita del giovane maresciallo Maccadò, emigrato dalla Calabria, con la moglie Maristella, per prendere servizio in qualità di comandante alla caserma dei Carabinieri di Bellano, sulle rive del lago di Como?
È al terzo momento particolare della sua vita, a cui ne seguirà un quarto e definitivo (mai dire mai…, ndr). Negli altri romanzi, ambientati negli Anni ’30, la famiglia Maccadò è già “integrata” nella comunità in cui si trova a vivere. In questa piccola serie di storie con lui protagonista, con i primi due romanzi Nome d’arte Doris Brilli e Certe fortune, invece sono ambientate negli Anni ’20, mi piaceva raccontare il progressivo inserimento nel nuovo contesto urbano e umano del maresciallo e della moglie Maristella.
Questo nuovo romanzo per certi versi ha alcune analogie con il nostro presente. La pandemia ci ha lasciato un po’ tutti in mutande…
È vero, in questo senso il titolo è stato involontariamente profetico perché quando abbiamo chiuso il libro, il virus era ben lontano dal manifestarsi. Nessuno si immaginava minimamente che avrebbe avuto una evoluzione così drammatica per cui, sì ci siamo “trovati in mutande” nel senso metaforico del termine. Impreparati, anche perché le prime settimane non si riusciva a capire bene quanto fosse grave e aggressivo questo virus, tutte cose che abbiamo imparato, purtroppo, sulla scorta delle luttuose esperienze di tanta gente.
Proprio nel momento più drammatico, lei è tornato a fare la sua professione originaria, il medico di base…
Vivo in un paese, Bellano, nel quale risiedono poco più di 3.000 persone, per cui, benché mi sia dimesso dal Sistema Sanitario nel 2013, la confidenza, i rapporti instaurati nei lunghi anni di lavoro hanno sempre fatto sì che di tanto in tanto, venissi richiamato in causa. In questa occasione, inizialmente, è capitato per la sostituzione di un collega che è entrato in quarantena. Successivamente, con un’attività non più ambulatoriale, ma più sul territorio che ho definito da tappabuchi: andando proprio a tappare dei buchi che ad altri sfuggivano e che non potevano essere altrimenti evasi. Mi sono così occupato di soggetti febbrili e in quel periodo ogni febbre si portava dietro un’angoscia, una paura del Coronavirus. Oltre a questo, c’erano anche tante altre cose che sono il pane quotidiano della medicina di base, dal mal di gola alle otiti, al mal di schiena. L’ordinario era comunque presente.
È entrato in contatto con tante persone anche di una certa età, avanti con gli anni. Erano preoccupate?
La preoccupazione era la prima cosa, la paura, l’ansia. Ho verificato che, al di là dell’approccio strettamente medico, successivamente la parola, come sempre, ha svolto un ruolo profondamente terapeutico. Verificata la situazione dal punto di vista della salute, una volta spiegata, poi si passa anche a parlare d’altro, cercando di distogliere il pensiero dalla preoccupazione principale. Ti accorgi che cambia la mimica facciale, cambia la sensazione, soprattutto nelle persone sole in casa. È stato anche un lenire le loro preoccupazioni.
Altra analogia con il periodo attuale, è che nel romanzo si racconta di una “redenzione igienica”…
È verissima, tra le ultime pagine del libro è prodotto integralmente l’articoletto che ho ritrovato andando a spulciare il giornale dell’epoca. Tutto sommato, si potrebbe fare il parallelo con il rinnovamento tecnologico che l’Europa prega di fare in Italia per concederci i fondi atti a risorgere. Ad ogni modo con il termine altisonante “redenzione igienica” si indicava semplicemente il programma di rifacimento della rete fognaria del Paese e dell’acquedotto, per renderlo, come si direbbe oggi, a norma. Ed è stata questa la molla che ha fatto partire il racconto.
I suoi romanzi sono di fantasia i luoghi però sono veri. Quanto i luoghi ispirano le suo storie?
Hanno una parte fondamentale, ed è la parte che si potrebbe assegnare a un palcoscenico, un grande teatro all’aperto dentro il quale si può calare qualsiasi tipo di storia. Mentre la storia parte sempre da un fattarello più o meno vero, in questo caso dalla “redenzione igienica”, a volte può essere anche un pettegolezzo, un aneddoto che mi viene raccontato che ha la forza di spingermi a prendere quella particolare cosa, vera o verosimile, come momento di partenza e costruire attorno una storia assolutamente inventata. Poi io amo molto la precisione geografica nel racconto delle storie, perché le rende ancor più verosimili. La citazione della tipografia nelle storie è presa pari pari dalla realtà.
Nei suoi romanzi la commedia e il giallo si intrecciano felicemente, ma c’è anche un lavoro di ricerca storica…
Mi sembra assolutamente fondamentale perché accentua e alimenta il sapore del romanzo. È lo stesso ruolo che giocano le citazioni geografiche ben precise. Questo è un elemento che mi è sempre piaciuto leggendo i libri di altri: danno la sensazione di godere di più del romanzo che ho in mano.
Questo romanzo lo ha dedicato ad Andrea Camilleri. Come mai ha pensato a lui?
Perché ho avuto la fortuna di conoscerlo e di godere della sua generosità. Ha presentato a Roma due miei libri. Abbiamo passato una lunga mattinata a casa sua. Ascoltandolo, naturalmente con le dovute distanze che ci separano, ho constato che abbiamo dei punti in comune. Ad esempio, la frequentazione di libri che raccontano le storie di quello e quel luogo con informazioni precise. Mi raccontò che leggeva i brani delle sue storie alla moglie per vedere il tipo di reazione, era lei il primo lettore, cosa che faccio anche io spesso. Ero di fronte non solo a un grande scrittore, su questo non ci piove, ma soprattutto anche a un grande uomo. Dotato di comprensione e capace di dare amicizia. Quando è scomparso ho provato un grande dispiacere, un vuoto come se fosse scomparso un parente.
Il prossimo romanzo della serie Maccadò?
Sarà la chiusura di questo miniciclo degli Anni ’20. Per una ragione ben precisa. Perché nell’arco di queste tre storie, quella che patisce di più ad integrarsi nel nuovo contesto è la moglie del maresciallo Maccadò, Maristella. Il maresciallo la capisce, la compatisce, però ha anche le sue belle distrazioni essendo comandante della caserma. Lei, invece, poveretta, è sempre in casa. Si fa un sacco di domande sul futuro e soprattutto patisce il fatto di non riuscire a mettere al mondo i figli che entrambi vogliono. E io ho commesso inconsapevolmente l’errore di stabilire la nascita del figlio nei romanzi precedenti. Avrei voluto farlo nascere con la fine di questo, ma con una data già stabilita Maristella avrebbe dovuto avere una gravidanza di 15 mesi, incompatibile con l’essere umano. La prossima storia che dovrebbe uscire in autunno si apre con il Maresciallo Maccadò che tutte le mattine esce per andare alla latteria sociale per prendere il quantitativo di latte in più che serve a soddisfar la fame del piccolo Maccadò: Maristella lo allatta ma non è sufficiente, e così dell’aggiunta se ne occupa il maresciallo, felice di poter contribuire al lavoro domestico.
Il quarto romanzo, sarà proprio quello definitivo della serie?
Ma, guardi, non metto limiti al destino. Le dirò che ultimamente ho scoperto due notiziole particolarmente interessanti che hanno messo in moto la fantasia. La prima, sicuramente deve diventare un romanzo, riguarda una gita di panificatori di Como a Bellano il 21 aprile del 1930 in occasione dei festeggiamenti per il Natale di Roma. È una storia che mi piace molto perché ho già appuntato alcuni fattarelli e personaggi che potrebbero diventare la trama vera del romanzo. Un altro è un Concorso letterario lanciato nel ’35, sempre con regolamento reperito rigorosamente sul giornale dell’epoca, e su questo secondo spunto ho iniziato a lavorare perché non vorrei perdere l’attimo. Per cui potrebbe esserci anche una quinta puntata. Ma sicuramente il Maresciallo Maccadò non finisce assolutamente qui. Mi ci sono talmente affezionato a questa famiglia. Proprio ora che Maristella è finalmente felice, ha il suo primo figlio, è tranquilla, allegra, e torna ad essere la donna solare che il Maccadò aveva sposato.
© Riproduzione riservata