Franca Anchieri. Ha lavorato come impiegata fino al pensionamento. Partecipa al concorso 50&Più per la seconda volta; nel 2020 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la prosa. Vive a Vercelli.
“Basta! Non ne posso più! Devo uscire…”.
L’anima legnosa del portoncino di ingresso ebbe un sussulto nel momento in cui sbatte’ contro lo stipite. Ed era solo un portoncino!
Immaginiamo il sussulto di Davide che aveva assistito a questa reazione, inaspettata e, secondo lui, assurda.
Gemma, la sua dolcissima Gemma, era uscita così, infilandosi il cappottino sulla tuta un po’ sbrindellata, il cellulare in mano, i capelli spettinati, ma soprattutto senza trucco!
Il grande negozio di abbigliamento dove era capo commessa, aveva dovuto chiudere e lei si era trovata impreparata e insoddisfatta di fronte alla nuova situazione.
Le giornate si appiccicavano le une alle altre, come tessere di un domino che si accavallano cadendo disordinate.
Tutto le era venuto meno: il tempo che dedicava ogni mattina per impaginarsi con cura, la passeggiata per raggiungere il vicino posto di lavoro, la colazione al bar e le veloci chiacchiere tra amiche e colleghe…
Ma anche il suo lavoro, l’impegno che alla fine portava quasi sempre la soddisfazione per la riuscita di un progetto, il rapporto con le persone, le indagini segrete e personali per tentare di sondare, attraverso le reazioni, i caratteri e le personalità dei clienti.
Vivere in periferia le dava il vantaggio di respirare ancora i grandi spazi pianeggianti sui quali si erano gradualmente adagiati i monumentali, simmetrici e invadenti capannoni dei centri commerciali.
Così, dopo una breve corsa furiosa e un po’ scombinata, si fermò per riprendere fiato e, appoggiata allo scivolo di un solitario e sgualcito parchetto per i bambini, osservò l’orizzonte lontano: a destra, come sospese sopra un nastro nebuloso, le montagne che esibivano ancora orgogliose il candore della neve; a sinistra un immenso sole morente che spargeva sui campi le sue lacrime dorate.
Spettacolo quasi commovente, ma incapace di mettere pace nel suo animo arrabbiato e di compensare tutto ciò che non aveva più della sua vita precedente.
Pensò al suo Davide e con calma riprese la strada di casa, considerando che invece a lui non era stato difficile reimpostare la propria esistenza con ritmi diversi.
Anche il lavoro da casa, dopo un primo momento di panico per l’adeguamento del sistema operativo del PC, si era rivelato un inaspettato regalo: abolite le levatacce imposte dal rigore degli orari da rispettare; annullate le difficili decisioni sulla scelta dell’abbigliamento, che doveva tener conto anche del fattore clima nella sua variabilità ma soprattutto evitate le resse sui mezzi di trasporto quando le facce stampate sui finestrini parevano evocare il soggetto del quadro di Munch.
Il tutto condito con un sottile filo di pigrizia che, come l’olio sull’insalata, rendeva le cose più lucenti e appetitose.
È vero, le aveva confessato che la fiducia sull’alto standard sanitario e tecnologico, a cui la sua vita fino ad allora era stata affidata, aveva subito un’incrinatura e di conseguenza anche la fiducia sul mondo moderno.
Qualcuno aveva rievocato quello che anche lui credeva sepolto nelle pagine dei Promessi Sposi o nei racconti di chi, un secolo prima, aveva vissuto l’esperienza della spagnola che si era portata via 50 milioni su due miliardi di abitanti del pianeta.
Ma, perdio, se ce l’avevano fatta allora, senza vaccini e senza la conoscenza martellante di dati e rimedi cui fare riferimento, il suo ottimismo lo portava a sperare che sicuramente prima o poi su questo palco mediatico avrebbe dovuto presentarsi qualcuno con il farmaco, la panacea risolutiva e tutto sarebbe ritornato come prima.
Ottimista come su ogni questione. Buono, disponibile e calmo.
Arrivò a casa, suonò il campanello, aspettò con rassegnazione che l’ascensore arrivasse e poi consumasse il tempo necessario per risalire gli otto piani. Sul portoncino di ingresso trovò. Davide che la aspettava, impaziente di condividere con lei la piacevole scoperta appena fatta. La condusse alla porta del balconcino sul quale insieme avevano creato una piccola raccolta di piante grasse, così facili da coltivare, giuste per loro che avevano pochi scampoli di tempo da dedicare al loro benessere e così facili da rimpiazzare all’occorrenza.
E, svolazzanti attorno ad un vaso che da tempo ospitava ormai solo del terriccio, due tortorelle, indaffarate a portare paglia e legnetti raccolti chissà dove.
Erano tornate a ricomporre il nido che già altre volte aveva accolto le loro uova e la conseguente covata, per niente spaventate dalla presenza dei padroni di casa che con ogni evidenza ormai consideravano amici.
Gemma e Davide si strinsero vicini ed ebbero lo stesso pensiero: questa volta avrebbero visto!
Durante le precedenti covate si erano trovati entrambi fuori casa tutto il giorno e l’osservazione serale aveva consentito loro di conoscere solo la dedizione delle bestiole che alternavano la loro presenza sul nido, la fissità dei loro occhi e gli scatti delle piccole teste.
Nell’arco di un mese tutto si sarebbe concluso, ma questa volta avrebbero potuto osservare anche i piccoli, per vedere come si cresce aspettando con il becco spalancato l’arrivo del cibo, come si cambia spazzolando via le piumette della nascita per far posto alle vere piume e alle penne ma soprattutto come si impara a volare da un balconcino all’ottavo piano!
Gemma ridimensionò così la sua impazienza: in fondo, forse, tutto si sarebbe risolto nel tempo di una covata…
Ma eravamo solo a marzo dell’anno 2020!