«Un venerdì di febbraio, precisamente il 6 di quest’anno, di malavoglia, decido di andare al teatro comunale, dove ci sarà un incontro: un gruppo di testimoni di mafia racconterà la propria esperienza a un pubblico di scolaresche di liceo e pensionati. Il teatro è stracolmo. Quando tocca a lui, la prima cosa che mi colpisce è la sua voce dolce, bassa di tono, dice che ha rifiutato di pagare il pizzo, ha denunciato, ha testimoniato al processo e adesso vive sotto scorta. Mi bevo tutto quello che racconta, ammirata dal suo coraggio, voglio stringergli la mano. A fine incontro vado dietro le quinte, a congratularmi con lui. C’è subito una forte empatia… Ci ristringiamo la mano, lui vorrebbe darmi un suo libro, ma non lo ha dietro, gli chiedo il titolo, me lo dice, scappo via, è tardi per me, lui mi richiama, mi dice di contattarlo su Fb, lo faccio, ci scriviamo, mi dice che non ha fatto altro che sperare che lo contattassi, che ha avuto la netta sensazione che io sia una tipa solare, allegra, dice che gli sono piaciuta subito. Lui, da quel che ho capito in seguito, è l’opposto di me: lavora e nel tempo libero gira l’Italia sotto scorta per testimoniare la sua esperienza, mi dice che non si sente un eroe, che ha pure paura, ma va avanti. Io lo avverto che ho i miei spigoli caratteriali, le mie paure e molte incertezze, ma con l’età ho imparato ad avere un equilibrio, sto tuttora lavorando su me stessa, e mi godo appieno quel che mi offre la vita. Gli piaccio ancora di più, mi chiede di tenerci in contatto. Dico di sì».
Questo è un piccolo estratto da una lunga lettera, arrivata proprio a questa pagina. A scrivermela è una donna di 68 anni, che si è scoperta innamorata di un uomo di 63. Lui le scrive poesie d’amore. Gliele dedica. Lei dice: «Sono cose d’altri tempi, ma, in fondo, noi lo siamo, nati in altri tempi, perciò…» Ha ragione. Fra le righe si percepisce soprattutto lo stupore. Ma non è forse, lo stupore, un sentimento per cui sareste disposti a pagare e pregare? È il regalo più bello che può farci la vita, un’ultima sorpresa, un imprevisto. Da quando ho incominciato a pubblicare i primi volumi della collana di romanzi d’amore Terzo Tempo, per le edizioni Giunti (ne ho parlato qui, su 50&Più), mi sono arrivate decine di storie come questa. È come se si fosse aperta una diga, come se fosse saltato il coperchio di una pignatta piena di confuse passioni.
Certe volte mi sembra vicino il momento in cui sarà semplice e naturale, amare ed essere amate, a sessant’anni, a settanta, come a trenta, come a venti. Il momento in cui non saremo più sottoposte a sguardi di sufficienza, incredulità, addirittura fastidio. In fondo che cosa cambia, rispetto a una faccenda seria come l’amore, l’avere o il non avere qualche ruga, qualche chilo in più, qualche macchia di ruggine sulla pelle delle guance? Ci si innamora soltanto della bellezza, della giovinezza? Allora dovremmo tutti amare soltanto i bambini, quelli molto piccoli, che hanno la pelle intonsa e grandi occhi pieni di serenità. Non è così.
Si ama una persona, e le persone che hanno lunghe vite dietro di loro non sono meno “persone” delle altre. Eppure… per una bella storia di attrazione fra “over” che diventa tenerezza, consuetudine, amore, ne ricevo ancora di tristi, che testimoniano percorsi tutti in salita. Mi scrivono che «i figli mi hanno dichiarato guerra da quando ho iniziato la mia storia con Emme». Un’altra: «Mia figlia mi ha detto: “Ma non ti vergogni, alla tua età, a uscire con un uomo, ad andare a ballare il tango?”».
Vorrei liquidarle con un’alzata di spalle queste testimonianze di giovanile idiozia, di malanimo, di assenza di empatia e fantasia e capacità di percepire che cosa è cambiato, sta cambiando, cambierà sempre di più. Vorrei rispondere a quelle due lettere con una buona dose di allegra strafottenza, invece mi intristisco. Mi prende una gran tristezza.
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