Il nuovo rapporto 2024 di Amnesty International denuncia un aumento globale della pena di morte usata come strumento politico e repressivo
Amnesty International nel suo ultimo rapporto denuncia un incremento globale della pena di morte nel 2024. Il Report dipinge un quadro drammatico, nel quale la sanzione capitale viene sempre più spesso utilizzata come strumento di propaganda politica e di repressione del dissenso, in palese violazione dei diritti umani fondamentali. Amnesty International evidenzia come, in diverse parti del mondo, i leader politici abbiano cinicamente “strumentalizzato la pena di morte con il falso pretesto di migliorare la sicurezza pubblica o per seminare paura tra la popolazione”. Questa retorica populista, anziché affrontare le cause profonde della criminalità, finisce per alimentare un clima di intolleranza e giustificazione per la soppressione di ogni forma di opposizione.
La spirale delle esecuzioni non si arresta
Il rapporto di Amnesty International rivela che nel corso del 2024 sono state registrate almeno 1.518 esecuzioni, il picco più alto dal 2015. Questo dato allarmante evidenzia una preoccupante tendenza al rialzo nell’applicazione della sanzione capitale, nonostante il numero di paesi che ancora ricorrono a questa pratica crudele e inumana rimanga il più basso mai registrato. Cina, Iran, Arabia Saudita, Iraq e Yemen hanno guidato questa macabra classifica nel 2024. Tuttavia, dall’analisi emerge anche un dato apparentemente contraddittorio. Per il secondo anno consecutivo, infatti, il numero di stati che hanno effettivamente eseguito condanne a morte è rimasto il più basso mai documentato. Questo per Amnesty suggerisce una concentrazione delle esecuzioni in un numero ristretto di paesi.
USA, la retorica della pena di morte
Un focus particolare del rapporto di Amnesty International è dedicato alla situazione negli Stati Uniti, che hanno registrato un aumento delle esecuzioni a partire dalla fine della pandemia. Nel corso del 2024, tra l’altro, nel paese sono state giustiziate 25 persone, una in più rispetto al 2023. Per Amnesty International destano preoccupazione le dichiarazioni del neoeletto presidente Donald Trump, che ha ripetutamente invocato la pena di morte nei confronti di categorie di criminali come “stupratori violenti, assassini e mostri”. Per l’Ong, queste “dichiarazioni disumanizzanti hanno alimentato la falsa convinzione che la pena capitale abbia un effetto deterrente unico contro la criminalità”. Una retorica, priva di fondamento scientifico, che contribuisce a creare un clima di accettazione e persino di sostegno.
Medio Oriente: le esecuzioni di stato come arma contro il dissenso
La situazione si fa ancora più critica in alcuni stati del Medio Oriente, dove Amnesty International ha osservato come la pena di morte venga sistematicamente utilizzata per mettere a tacere voci scomode: difensori dei diritti umani, dissidenti politici, manifestanti pacifici, oppositori politici e minoranze etniche. In particolare, Iran, Iraq e Arabia Saudita insieme hanno registrato un totale di 1.380 esecuzioni. A capo di questo primato l’Iran che nel 2024 ha messo a morte 119 persone in più rispetto all’anno precedente. Un numero che da solo rappresenta il 64% di tutte le esecuzioni note a livello mondiale. “Coloro che hanno osato sfidare le autorità hanno subito la punizione più crudele, in particolare in Iran e in Arabia Saudita, dove la pena di morte è stata impiegata per ridurre al silenzio chi ha avuto il coraggio di esprimersi”, denuncia Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
Congo e Burkina Faso: il rischio di una pericolosa inversione di tendenza
Il rapporto di Amnesty International segnala con preoccupazione anche segnali di una potenziale inversione di tendenza in alcuni paesi africani. In Congo, il governo ha annunciato la sua intenzione di riprendere le esecuzioni, dopo una moratoria di fatto durata anni. Allo stesso modo, le autorità militari del Burkina Faso hanno dichiarato pubblicamente di voler reintrodurre la pena di morte per i reati comuni. Questi annunci rappresentano un passo indietro preoccupante nella lotta globale per l’abolizione della pena capitale e sollevano seri timori per il futuro dei diritti umani in queste nazioni. La reintroduzione delle esecuzioni rischia di normalizzare una pratica barbara e inumana, senza apportare alcun beneficio reale in termini di sicurezza pubblica.
La pena di morte: una violazione dei diritti umani
Amnesty International condanna la pena di morte in ogni circostanza, considerandola una violazione del diritto alla vita, sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. La sanzione capitale è intrinsecamente crudele, inumana e degradante, e la sua applicazione è spesso viziata da errori giudiziari e discriminazioni. Le argomentazioni a favore della pena di morte basate sul presunto effetto deterrente contro la criminalità, afferma, sono state ripetutamente smentite da studi scientifici. Non esiste alcuna prova convincente che dimostri come la pena capitale sia più efficace di altre forme di punizione nel ridurre i tassi di criminalità. Al contrario, rappresenta una vendetta statale che non porta giustizia alle vittime e non contribuisce a costruire società più sicure e giuste.
TUTTE LE ULTIME NOTIZIE SU SPAZIO50.IT
© Riproduzione riservata