L’Alzheimer potrebbe avere diverse varianti, ognuna associata a una differente combinazione di proteine presenti nel fluido che avvolge il cervello.
Cinque varianti di Alzheimer. Non un’unica patologia, dunque. È quanto emerge da uno studio condotto dai ricercatori della Vrije Universitet di Amsterdam, pubblicato su Nature Aging, che ha analizzato il liquido cerebrospinale di 419 pazienti con malattia di Alzheimer già diagnosticata, metà dei quali affetti da demenza, e 187 soggetti di controllo.
Gli scienziati hanno indagato 1.058 proteine, osservando che non solo la composizione del fluido presente nel cervello dei malati era diversa da quella delle persone sane, ma che esistevano cinque specificità molecolari riscontrate nella parte di campione con patologia.
I risultati
Sono stati ipotizzati cinque sottotipi di Alzheimer. Le persone con il sottotipo 1 hanno mostrato un aumento della proteina amiloide, tradizionalmente considerata un segno evidente della malattia. Quelle con sottotipo 5 hanno evidenziato, al contrario, una ridotta produzione di amiloide accompagnata dalla degenerazione della barriera ematoencefalica, che serve a proteggere il cervello dagli elementi nocivi presenti nel sangue. Il sottotipo 2 ha presentato una riduzione delle proteine e sinapsi associate alle cellule immunitarie cerebrali. Il 4 si è caratterizzato per un problema con la struttura che produce il liquido cerebrospinale o “liquor”.
Ogni sottotipo è stato anche associato a un differente profilo genetico. Il che comporta un rischio più alto di sviluppare la malattia e che può presentare un decorso più o meno rapido.
Un futuro per le terapie?
La scoperta potrebbe spiegare le difficoltà riscontrate fino a oggi nel trovare terapie contro l’Alzheimer. Attualmente su un campione ampio alcuni farmaci sembrano dare buoni risultati solo su un quinto dei soggetti. Per esempio, un medicinale che inibisce la produzione di amiloide potrebbe essere efficace nella variante con una maggiore produzione di amiloide ma, potrebbe essere dannoso nella variante che presenta una minore produzione.
Riuscire a distinguere tra una variante e l’altra è il primo passo per lavorare in modo più mirato sui pazienti per provare a sviluppare farmaci sempre più specifici.
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