In concomitanza con la giornata mondiale dell’Alzheimer, è stato pubblicato sulla rivista “Science” uno studio che fa luce sui meccanismi di insorgenza e progressione della malattia.
Lo scorso 21 settembre la giornata mondiale dell’Alzheimer, istituita nel 1994 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha acceso come ogni anno i riflettori sulla principale causa di demenza a livello mondiale: una malattia che ricomprende diverse patologie cerebrali caratterizzate dall’alterazione progressiva delle funzioni cognitive e capaci di incidere in maniera drammatica sulla qualità della vita.
Il Rapporto Mondiale Alzheimer 2023
Secondo il Rapporto Mondiale Alzheimer 2023, elaborato da Alzheimer’s Disease International (ADI), sono circa 55 milioni, in tutto il mondo, le persone affette da demenza. Poco meno di un milione e mezzo si trovano in Italia e circa la metà è colpita dalla vera e propria malattia di Alzheimer. Il rapporto sottolinea che l’aumento dell’aspettativa di vita, e dunque della popolazione, farà lievitare il numero dei malati a 78 milioni entro il 2030 e a 139 milioni entro il 2050. Un dato rilevante, che – in assenza di una cura efficace e sostenibile – impone di rafforzare le reti di assistenza e le strategie di diagnosi e prevenzione. Nel 40% dei casi, ricordano gli esperti, la demenza può essere scongiurata o ritardata attraverso l’esercizio fisico, una dieta corretta, le connessioni sociali, il controllo periodico della vista e dell’udito.
La scoperta a Londra
Quest’anno, in particolare, una recentissima scoperta scientifica apre uno spiraglio importante nell’enigma che avvolge l’insorgenza e il meccanismo d’azione della malattia di Alzheimer. Un team di ricercatori del Dementia Research Institute presso l’University College di Londra e della Katholieke Universiteit di Leuven, in Belgio, ha trovato una prova evidente del modo in cui avviene la morte delle cellule cerebrali, i neuroni, che è alla base della demenza. Tutto ruota intorno al comportamento di due proteine.
Inizialmente la proteina beta-amiloide, prodotta in quantità eccessiva dall’organismo, si addensa negli spazi tra i neuroni generando uno stato infiammatorio che altera la chimica interna delle cellule. Dentro i neuroni compaiono grovigli anomali di proteina tau e inizia il rilascio di una molecola specifica, la MEG3, che induce la necroptosi o morte cellulare infiammatoria. Si tratta di un meccanismo spontaneo che l’organismo adotta per la rimozione delle cellule danneggiate e la loro sostituzione con cellule nuove e sane, ma in questo caso il processo finisce fuori controllo.
“Una nuova strada”
Lo studio anglo-belga, pubblicato sulla rivista Science, è stato condotto impiantando neuroni umani nel cervello di topi geneticamente modificati. L’obiettivo è produrre quantità abnormi di proteina beta-amiloide e ha dimostrato che, bloccando il rilascio della molecole MEG3 con un cocktail di farmaci antitumorali e antinfiammatori somministrato per via orale, è possibile salvaguardare l’integrità delle cellule cerebrali. “Benché necessiti di molti approfondimenti”, ha dichiarato la dottoressa Susan Kohlhaas, responsabile della ricerca presso il Centro sull’Alzheimer del Regno Unito, “il lavoro pubblicato su Science sembrerebbe aprire la strada ad una nuova, promettente opzione di trattamento clinico per i pazienti”.
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