L’assistenza familiare si alterna a quella professionale e si affianca lungo tutte le fasi della malattia e nei diversi ambienti di vita e di cura del malato. Le testimonianze di chi combatte, tra le difficoltà.
Storie di resilienza, storie di domande inevase, di ricerca di aiuto, di momenti di grande sconforto, alle volte, di solitudine. Ma anche di energie insospettate, di solidarietà e sostegno pratico. Insomma, storie di mariti o mogli, di figli, di persone che sulla loro strada si sono imbattute in un nemico terribile: la demenza cognitiva o Alzheimer. I cosiddetti caregiver venuti alla ribalta delle cronache per i loro sforzi in tempo di Covid.
E alcune di queste storie le vogliamo raccontare prendendo spunto dalla Giornata mondiale per l’Alzheimer, istituita nel 1994 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’Alzheimer’s Disease International (ADI), che si celebra il 21 settembre.
La prima di queste ci porta in un luogo tra i più belli d’Italia, il Lago di Como, dove risiede Pierluigi. «Come occupazione principale oggi – afferma con un pizzico di triste ironia – ho quella di seguire mia moglie che si è ammalata in età relativamente giovane. Il problema, quando ti capita addosso e viene diagnosticato per la prima volta, equivale a sbattere contro un treno in corsa. Nel nostro caso sono sei anni che cerchiamo di convivere con questa malattia. I primi due-tre anni sono stati abbastanza gestibili. Ci sono state buone risposte alle terapie e ai nostri sforzi, ma gli ultimi due soprattutto stanno diventando devastanti per mia moglie e per tutto il resto della famiglia, per me in primis. I supporti sono quelli che si riescono a trovare. Il pubblico ti dà col contagocce. Oltre ai 500 euro di accompagnamento non c’è molto e allora ti devi arrangiare». Oltre a questo, aggiunge Pierluigi, c’è l’aspetto psicologico nella coscienza che: «non c’è nulla che ti possa sollevare dalla consapevolezza che resta poco da fare e che una persona a te così cara, sta lentamente andando in un posto dove tu non potrai andare, e questo è per me devastante». Aiuti? «I sostegni – risponde secco Pierluigi – te li devi cercare. Nel mio caso ho una persona che si occupa di lei e mi dà una mano qualche pomeriggio a settimana, così come qualche sostegno arriva anche dalle strutture pubbliche con un supporto di tre ore a settimana. Ovviamente il Covid è stata l’ultima mazzata con i problemi che tutti sappiamo». Se poi chiedi quale è la forza per andare avanti la risposta è quasi scontata: «È quella di voler bene a mia moglie che ha vissuto con me oltre 40 anni e ricordarsi dei momenti belli, cercando di resistere anche se ogni giorno è più dura. Se non fosse stata lei non so francamente se negli ultimi 6 mesi avrei resistito…».
Dalla Puglia, esattamente da Grottaglie, provincia di Taranto, arriva un’altra storia di amore e resistenza. Ce la racconta Angela che segue la mamma Maria, ormai 85enne. «Vivo con lei e l’assisto in casa – ci dice -. Sono tornata dalla Toscana ed ho dovuto rimodularmi per accettare di assistere una persona diversa. Se non lo fai, non potrai mai riuscire in questa impresa perché la situazione è molto dura e di elevatissimo impatto per una famiglia, soprattutto per chi se ne prende carico direttamente. Perché è così – prosegue Angela -, la mia esperienza mi porta a dire che c’è sempre un familiare su cui ricade la gran parte del lavoro e questa sono io». Angela ci descrive l’evoluzione della malattia. «È una patologia che procede per stadi – risponde – e devi essere pronto ad affrontare anche cambiamenti di personalità. Per me il primo è stato quello di “difendermi” da mia mamma, nel senso che, perdendo gli oggetti ho iniziato a nasconderli, come se non mi fidassi più di lei. Lì ho capito che dovevo andarle incontro, modulandomi sui nuovi bisogni e sulle sue fragilità. Occorre guardare con occhi diversi quella persona. Molte famiglie non lo accettano e non riescono a mettersi al passo. La perdita di autonomia, poi, porta a diventare genitore dei tuoi genitori. Infine, diventi quasi un medico o una infermiera, e cerchi di rubare con gli occhi l’esperienza dei professionisti». Il Covid, anche per Angela, ha costituito un aggravio pesante di problemi anche con scelte difficili nel periodo di un ricovero. «Senza voler criticare nessuno – afferma Angela – ho notato, soprattutto da noi, una mancanza di “cultura” nell’affrontare queste situazioni anche negli ospedali. Tra i medici e gli infermieri arriva un momento nel quale, in questo tipo di malati, non si vede più lo spirito ma solo la carcassa che va in deperimento. Si mettono i remi in barca come se non valesse più la pena curarli o trattarli come una persona che ha dolori e bisogno di conforto. Eppure da figlia dico che molte cose le ho risolte semplicemente guardando e osservando con amore mia madre negli occhi, cogliendo ogni piccolo segno. Ma dietro c’è l’amore. Senza questo non si può fare nulla…».
Anche Angiola, insegnate in pensione di Milano, è una “resistente” dell’Alzheimer e segue con dedizione suo marito, che ha iniziato a mostrare i primi sintomi della malattia nel 2016. «All’inizio – ci dice – abbiamo attribuito certi suoi comportamenti alle ripercussioni avute dalla fine della sua esperienza lavorativa ma non era così e, pian piano, la malattia si è mostrata in tutta la sua problematicità». La signora Angiola descrive il marito come una persona che “ha mantenuto una grande serenità, ancora sorridente e gentile. Non è difficile da trattare, è disponibile e malleabile alle mie proposte e risponde sempre in modo attivo. Non è aggressivo, al massimo si turba». La situazione, comunque, è un po’ precipitata nell’ultimo anno, responsabile anche il Covid con le chiusure prolungate in casa e lo stop delle strutture di sostegno. Insomma, il panorama non è roseo e penso – aggiunge Angiola – che aumenterò gli aiuti anche per trovare i miei spazi. Non siamo mai state persone particolarmente avvezze a fare amicizia con i vicini di casa ma devo dire, con sorpresa, che quando ho informato i vicini della malattia di mio marito, ho trovato in tutte le persone una gentilezza e disponibilità che non mi sarei mai immaginata. In particolare, da due famiglie è giunto un sostegno a tutto campo nel difficile periodo del lockdown: un signore che, addirittura, si è preso carico di farci la spesa ed accompagnarci alle visite mediche».
Un messaggio chiaro arriva anche da Marco. «Da figlio mi sento di dire a chi si trova in questa situazione di non mollare, di farsi aiutare perché l’aiuto, alla fine si trova». Giovane papà milanese, aiuta la mamma a gestire la non più semplice situazione di suo padre, 74enne, da quattro anni malato di Alzheimer. La sua è un’esperienza positiva con l’ente pubblico che si occupa di queste patologie, anche se da tre mesi, spiega, la situazione del papà si sta aggravando rapidamente. «L’impatto con il male – spiega Marco – inutile dirlo, è molto forte, soprattutto per la mamma che sta vedendo un peggioramento così rapido e non riesce a metabolizzarlo. Lei ha un carattere forte ma è molto scossa. Anche per me, soprattutto all’inizio, è stato lo stesso, pure se non vivo con loro. Ora mi sono assestato e corro solo il doppio rispetto a prima. Lo faccio per lui e perché mia mamma non crolli». Il consiglio di Marco è quello di farsi aiutare, attraverso realtà come per esempio il telefono verde di Aima. «È necessario un supporto psicologico – dice Marco -. Ora, ad esempio, mio papà nel procedere della malattia sta assumendo atteggiamenti aggressivi che ci impongono maggiore attenzione». Il futuro? «La forza per me è l’enorme affetto che nutro per mio padre. Lui è sempre stato il mio eroe, fin da ragazzo, e glielo devo. Viene istintivo. Guardarlo in questo momento è come guardare un bambino, e i bambini non si abbandonano. Non si può mettere in un istituto, come fosse un peso. So che forse questo succederà, ma solo se le cose diventeranno ingestibili e per il bene suo e di mia mamma. Farlo ora sarebbe come buttarlo via, non potersi più godere la vita con lui che è certo diverso, è un’altra persona. Ma si può trovare il modo di godere della sua presenza e stargli vicino anche ora».
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