Dal mese di settembre, Gianrico Carofiglio è coautore di una delle nuove rubriche della rivista 50&Più. Insieme alla figlia Giorgia, infatti, curerà “La forma delle nuvole. Un padre e una figlia osservano il mondo”, uno spazio in cui vengono offerti spunti di riflessione su temi di attualità attraverso la visione di due diverse generazioni.
Di recente, ventiquattro associazioni e centosettantanove persone fisiche (fra cui diciassette minori) hanno fatto causa allo Stato italiano per inazione climatica. Questa espressione un po’ astrusa significa che lo Stato viene citato davanti ai giudici per la sua inerzia di fronte all’emergenza delle mutazioni climatiche e del riscaldamento globale. Non è la prima volta che accade una cosa del genere: in molti altri paesi, giovani e associazioni hanno portato in tribunale gli Stati con l’accusa di non avere messo in campo misure adeguate nella lotta ai cambiamenti climatici. Queste azioni legali hanno già avuto successo in Francia, in Olanda, in Belgio, fra gli altri. Ma il caso più eclatante è stato quello della Germania: ad aprile infatti la Corte Costituzionale tedesca ha dichiarato parzialmente illegittima la legge per la protezione del clima adottata nel 2019. Secondo i giudici della corte la legge viola i diritti delle future generazioni: con obiettivi di taglio delle emissioni troppo ridotti mette a rischio le libertà, la salute, la vita stessa dei più giovani e di coloro che non sono ancora nati.
Questa storica sentenza ci pone di fronte a domande cruciali. Che doveri abbiamo verso chi viene dopo di noi? Che obblighi legano generazioni diverse? Come possiamo diventarne consapevoli? È noto che facciamo fatica a pensare a lungo termine, a empatizzare con chi è distante nello spazio e nel tempo, fossimo anche noi stessi nel futuro remoto. È difficile motivare le decisioni personali – a maggior ragione quelle politiche – in vista di un orizzonte lontano.
Ma per molti il cambiamento climatico non è un problema così distante. Alcuni dei suoi effetti più catastrofici si manifesteranno già nell’arco di vita delle generazioni più giovani. E un’alta percentuale dei più giovani, stando a un recentissimo rapporto della Deloitte, ritiene che le generazioni più anziane siano un “ostacolo al progresso” per la protezione del pianeta.
Su questioni ambientali e di giustizia sociale sembra dunque si stia aprendo una crepa incolmabile tra generazioni. Una crepa che alimenta il risentimento e minaccia il futuro. Ma non deve andare per forza così, come dimostrano alcune innovative esperienze in varie parti del mondo. La più interessante, forse, è quella dell’Irlanda: un esperimento di democrazia partecipativa che ha raccolto novantanove persone diversissime fra loro per genere, religione, estrazione sociale ed età anagrafica. Lo scopo era di cercare soluzioni il più possibile condivise, e soprattutto condivisibili, a problemi gravi e controversi di varia natura. Queste novantanove persone, un campione rappresentativo della popolazione irlandese, si sono riunite in una Citizens’ Assembly, un’assemblea civica, per deliberare su diritti civili, referendum e ambiente. Tutti temi che dividevano aspramente l’opinione pubblica. L’assemblea si teneva nei fine settimana. I membri, che arrivavano da ogni angolo del Paese, ascoltavano le testimonianze di esperti e di persone comuni ed erano incoraggiati a esprimere la propria opinione e, soprattutto, ad ascoltare attivamente quella degli altri. Alla fine l’assemblea doveva trovare soluzioni e avanzare ipotesi di lavoro per il governo. I risultati più significativi si sono visti nelle deliberazioni sull’ambiente: le linee guida redatte dall’assemblea erano molto più innovative e radicali rispetto alle proposte di qualsiasi partito politico, inclusi quelli di più forte vocazione ambientalista. Nonostante ciò, oltre l’80 per cento dei membri dell’assemblea ha votato a favore e le linee guida sono state adottate nella strategia del governo per la lotta al cambiamento climatico.
Se vengono messe in condizione di comunicare e ascoltare, le persone scoprono spesso di avere in comune più di quello che pensavano. Ma soprattutto hanno l’opportunità di vedere il mondo da un punto di vista differente, di ridurre le distanze che impediscono di coltivare empatia verso chi è diverso per esperienze o per data di nascita.
Vedere il mondo attraverso gli occhi di qualcun altro ha un potenziale rivoluzionario: dà una forma nuova alle cose, mostra ciò che prima era invisibile, permette di trovare prospettive inattese. Nelle relazioni interpersonali come in politica, capire il punto di vista dell’altro è la premessa per arrivare a rimedi soddisfacenti per tutti.
È tempo di trovare soluzioni coraggiose, per il clima e per le altre questioni del nostro tempo, dalla ripresa economica alla lotta alle diseguaglianze, e per la dignità degli esseri umani. Lo possiamo fare solo se non cadiamo nel risentimento tra generazioni e tra persone che la pensano diversamente e andiamo alla ricerca di territori comuni da cui osservare il futuro. Ricordandoci le bellissime parole di un proverbio pellerossa: non abbiamo ereditato questo mondo dai nostri genitori, l’abbiamo preso in prestito dai nostri figli ed è a loro che dovremo restituirlo.
Gianrico Carofiglio (Bari, 1961) ha scritto racconti, romanzi e saggi. I suoi libri, sempre in vetta alle classifiche dei best seller, sono tradotti in tutto il mondo. Il suo romanzo più recente è La disciplina di Penelope.
Giorgia Carofiglio (Monopoli, 1995) si è laureata in Teoria Politica presso la University College London. Ha lavorato in un’agenzia letteraria e collabora con case editrici.
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