Lo segnala il terzo focus sul welfare familiare realizzato dal Censis per Assindatcolf. A causa della carenza di servizi professionali o agenzie per il lavoro specializzate, le famiglie chiedono ad amici, parenti e conoscenti. Ma una su tre è insoddisfatta del badante o della badante selezionati. Un terzo delle famiglie che vive la non autosufficienza vorrebbe un riconoscimento economico del ruolo svolto.
È il passaparola il principale canale attraverso cui le famiglie italiane cercano badanti, colf o baby sitter. Questo a causa di servizi di intermediazione carenti se non addirittura inesistenti. Con il risultato che un terzo delle famiglie è insoddisfatto della persona scelta come assistente familiare. Sono questi i risultati del report “Le famiglie fanno da sole: la carenza di intermediazione nei servizi domestici e nell’assistenza”, il terzo focus del progetto “Welfare familiare e valore sociale del lavoro domestico in Italia” realizzato dall’istituto di ricerca Censis per Assindatcolf (Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico).
La ricerca di personale domestico? Le famiglie italiane fanno da sole, per necessità
Il 76,4% delle famiglie che hanno bisogno di colf, il 70,8% di quelle alla ricerca di badanti e il 61,6% di quelle che cercano baby-sitter si rivolgono ad amici, parenti, conoscenti per selezionare la persona giusta. Dunque, non canali specializzati come agenzia per il lavoro o piattaforme online – spiega il report – ma la rete “di prossimità” costituita dalle conoscenze dirette. Questo perché i canali ufficiali sono considerati poco accessibili o costosi. Inoltre, nella stessa logica della prossimità, spesso anche un lavoratore domestico già impiegato nella famiglia diventa un canale di ricerca (nel 19,2% dei casi per assumere una colf; nel 16,7% per cercare badanti).
L’età è una discriminante nella ricerca di badanti, baby sitter e colf
Solo per scegliere una baby sitter il 24% dei potenziali datori di lavoro si è rivolto a piattaforme online di annunci gratuiti o giornali di inserzioni. Questo perché in via generale chi ha meno di 54 anni è più aperto ai canali professionali o digitali di selezione. Infatti, in questa fascia di età si fa ricorso a portali e/o agenzie per il lavoro nel 25,3% dei casi di ricerca di badanti e nel 14,1% per colf.
Una famiglia su 3 non è soddisfatta della persona scelta come badante
L’82% delle famiglie che ha assunto una colf è soddisfatto del lavoratore o della lavoratrice. La percentuale di soddisfazione decresce quando si tratta di badanti: ben il 33,8%, cioè 1 famiglia su 3, non può dirsi soddisfatta delle qualità professionali della persona individuata. Nel caso delle baby sitter, al 76,2% di famiglie soddisfatte si contrappone quasi un quarto di insoddisfatte.
Sono i datori di lavoro più giovani (under 55) ad essere meno soddisfatti della scelta fatta: il 22,7% nel caso di colf; addirittura il 41% per badanti.
Meno della metà delle famiglie con anziani o persone non autosufficienti ricorre all’assistenza pubblica
Meno della metà delle famiglie in cui è presente un anziano o una persona non autosufficiente ricorre a forme di assistenza pubblica. Tra gli strumenti più utilizzati, il Censis ha individuato l’indennità di accompagnamento (42,1%); mentre le altre tipologie restano tutte sotto la soglia del 10%. Si tratta, in particolare, dell’assistenza domiciliare integrata in alternativa al ricovero in ospedale: a seguire un programma di interventi sanitari e sociali a domicilio è solo l’8,2% degli intervistati. Appena il 3,9% accede invece all’assistenza domiciliare programmata, ovvero un servizio che è il medico di medicina generale ad effettuare presso il domicilio di un paziente. Tuttavia – evidenzia il report -, i pochi che accedono a questi servizi sono soddisfatti: rispettivamente per l’assistenza integrata e programmata l’esperienza è positiva nel 76,7% e nel 72,7% dei casi. Invece, soltanto il 35,4% di chi ha accesso all’indennità di accompagnamento esprime una valutazione positiva.
Di cosa hanno bisogno le famiglie che vivono la non autosufficienza?
Ma cosa vorrebbero le famiglie che convivono con la non autosufficienza tutti i giorni? Il 36,3% chiede un contributo economico che le metta nelle condizioni di impiegare un assistente familiare; in alternativa, le famiglie vorrebbero portare in deduzione il totale del costo sostenuto per il personale domestico impiegato (35,5%) nelle dichiarazioni dei redditi. Il 14% delle famiglie preferirebbe invece ricevere servizi personalizzati erogati da personale della ASL, del Comune o di enti autorizzati e accreditati. A seguire, l’11,5% vorrebbe un contributo economico pubblico senza vincoli di utilizzo e solo il 2,7% preferirebbe ricevere un contributo che vada invece a sostenere il reddito di un caregiver.
Pronte a fare da sole, le famiglie chiedono però un riconoscimento degli sforzi
“Emerge la consapevolezza – segnala il report – che una condizione complessa e delicata come quella della non autosufficienza può essere affrontata in modo adeguato solo attraverso una presa in carico della famiglia, alla quale però deve essere riconosciuto il ruolo sostitutivo svolto. In alternativa, è necessario predisporre un servizio di assistenza accurato e competente, soprattutto nei casi in cui la famiglia non riesce a rispondere con le proprie forze e con le proprie risorse all’assistenza di cui ha bisogno un familiare che versa in gravi condizioni di salute”. Tutto questo privilegiando il domicilio “che risulta il posto migliore dove vivere in tutte le età della vita. Occorre, però, intervenire in modo urgente per rendere la domiciliarità più idonea alle vere necessità delle famiglie, che nell’arco della vita sono in continuo e rapido divenire” sottolinea Andrea Zini, presidente di Assindatcolf.
“L’auspicio è che si possano compiere importanti passi in avanti con la Legge sulla non autosufficienza – aggiunge -, in particolare attraverso lo strumento dei PAI (Progetti personalizzati di Assistenza Integrata, ndr.), che permetterebbero una fotografia nitida delle necessità degli anziani”.
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