Sulla Basilica di Santa Sofia sembra non scendere mai il sole. Il lavoro dei volontari, nel piazzale che è ormai diventato punto di riferimenti per tutti coloro che vogliono contribuire all’invio di aiuti per l’Ucraina, procede da venti giorni senza sosta.
Il tam tam, giunto in ogni parte del Paese, qui – in questo spicchio della periferia romana – è ancora più evidente. Sono migliaia i volontari che si stanno dando il cambio dall’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina: raccolgono cibo, farmaci e vestiti. Li stoccano, li dividono per tipologia e quindi creano grandi imballaggi pronti per il confine del Paese sotto assedio. Da lì, raggiungeranno ogni angolo d’Ucraina. Ma qui si aiuta anche chi fuggendo da Leopoli, Kiev, Mariupol ha trovato protezione in Italia ed è scappato con appena addosso i propri indumenti: e, dunque, non ha più nulla.
Le storie dei volontari alla Basilica di Santa Sofia
In questo grande piazzale, troviamo ucraini, italiani ma anche tanti cittadini stranieri residenti nel nostro Paese che sono accorsi, appunto, come volontari. Tra di loro c’è Iryna, in Italia da anni, il marito è impiegato qui a Roma. Di sua madre e la nonna – che vivono a Mariupol – non sa più niente da dieci giorni. Da quando le bombe russe hanno iniziato a cadere sulla città, ha perso ogni contatto. Ci confida che non sa se siano vive o morte. Da qui non ha modo di saperlo.
Un aiuto da lontano
Ed è questo senso di impotenza che paralizza- almeno emotivamente – il fluire di questa operosità di mani che scartano, separano, impacchettano e caricano. È Natalia a dircelo: vive in Italia da vent’anni, ma è ucraina. «Non possiamo essere là – dice commossa – ma facciamo tutto il possibile almeno da qui». Nel tempo che le stiamo accanto mentre smista abiti, ci racconta che suo marito è invece rimasto nel Paese – «Non vuole lasciare» -, mentre il figlio si è trasferito da anni in Polonia e da lì sta organizzando aiuti per il proprio il Paese. Ci muoviamo insieme tra enormi buste nere contenti abiti ed è allora che ci indica una donna: vuole che parliamo anche con lei. Pensiamo si tratti di una conterranea e invece scopriamo che è italiana: di lei sappiamo giusto che è una musicista. A dircelo è la stessa Natalia.
Stefania – si chiama così – è la nuora dell’anziano che Natalia assiste: «Quando è scoppiata la guerra, ho chiesto a Natalia come potessi rendermi utile ed eccomi qui. La prima volta che sono venuta – questa è la terza – sono rimasta sconvolta. C’era un fiume di persone ad aiutare». Tanti, davvero tanti, anche quando arriviamo noi: volontari, appunto, che si danno il cambio senza sosta.
Alla Basilica di Santa Sofia volontari di tutte le età
E non c’è età che tenga. I più anziani ripongono latte, vestiti, coperte, ognuno nel proprio contenitore mentre i giovani, a spalla o con del muletti, caricano casse stracolme in enormi tir che gettano polvere tutto intorno al loro movimento. Pronti a partire.
Ci colpisce la presenza di tanti studenti. Sono giovani, frequentano le superiori e sono gli stessi professori ad averceli portati. Tutti con le maniche rimboccate – insegnanti e alunni -, insieme per dare una mano. Tra loro c’è Gioia, diciottenne, ci parla della nonna: vive in Polonia, al confine, e sta accogliendo bambini piccolissimi in fuga dall’Ucraina. «Ecco perché sono qui – dice Gioia -, pure a me piace fare questa cosa. È giusto così. Voglio essere d’aiuto».
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