Narratore, scrittore, saggista… I libri sono sempre stati protagonisti nella vita di Manguel, a cominciare da quando, adolescente, ha iniziato a leggerli per il grande Borges. Un’esperienza da cui ha appreso l’importanza di lasciarsi guidare dal piacere della lettura
Ad Alberto Manguel, raffinato saggista e scrittore argentino di nascita ma cosmopolita di fatto, è capitata una bellissima esperienza, unica. Giovanissimo ha incontrato Jorge Borges, che gli ha chiesto (era già cieco) di leggere per lui un pomeriggio, nel suo studio, prendendo il posto della madre, ottuagenaria ormai stanca di sfogliare libri d’ogni tipo. E per quattro anni ha letto ad alta voce per lui: Kipling, Stevenson, Henry James, versi di Marino, Heine, tutta la sterminata biblioteca che Borges conosceva a memoria e che ogni volta, alla rilettura, acquistava un’eco diversa.
Ricorda ora Manguel: «Borges mi interrompeva per commentare, Borges lasciava che le parole venissero a lui. Io ero invisibile». Grazie a quello straordinario apprendistato, l’invisibile Manguel è diventato un lettore avido, esigente, raffinato. È diventato negli anni lo scrittore che è, il traduttore, il bibliofilo, il critico, l’esigente “lettore definitivo”, appartenente a quell’eletta schiera che nella modernità include (oltre l’amato Borges) compagni d’avventura come Calvino ed Eco. Nel corso di una vita intera, ha costruito una biblioteca di oltre trentacinquemila volumi. Nel suo ultimo, bellissimo Vivere con i libri (Einaudi) ha raccontato l’esperienza di un trasloco davvero doloroso, che ha vissuto quando ha dovuto trasferire questa biblioteca di oltre trentacinquemila volumi da un’immensa casa sulla Loira a un piccolo appartamento, con l’inevitabile dilemma su cosa portare con sé e cosa abbandonare, “ascoltando” la voce dei libri a uno a uno.
Conversiamo con Manguel sui temi della lettura ieri e oggi, su cui ha anche scritto una fondamentale storia, più volte pubblicata, l’ultima volta da Bompiani, concepita come libro in cui liberamente si depositano le escursioni attraverso i secoli, gli autori, l’enigmatica magia della scrittura. Per prima cosa gli chiediamo con quale sentimento, quale emozione ricorda le letture che faceva per Borges.
Che cosa ha appreso da quel fondamentale incontro?
Spesso nella nostra vita non riconosciamo il miracolo quando esso si manifesta. Ero adolescente quando ho incontrato Borges, sapevo che era un grande scrittore studiato a scuola, ma non mi rendevo conto dell’enorme privilegio che avevo nel sentirlo riflettere sulle proprie letture. Da Borges ho appreso la generosità intellettuale e l’importanza di lasciarsi guidare dal piacere della lettura. Borges sceglieva il libro. Se ero io a controllare, con qualche sforzo, il tono e il ritmo della lettura, era comunque Borges, l’ascoltatore, a padroneggiare il testo. Io ero l’autista, ma il paesaggio, lo spazio attraversato apparteneva al passeggero che guardava ciò che gli passava davanti al finestrino.
Manguel, come possono i libri attraversare una vita?
Sono quelli a cui torniamo sempre. Quando ho avuto le prime esperienze, già possedevo le parole per nominare ciò che avevo vissuto, lette in un libro. Invecchiando, si cerca più piacere nella ripetizione che nella novità. La novità è passione dell’adolescenza, ma il piacere di sentire una, cento, mille volte la storia di Pinocchio è una lettura profonda, legata alla nostra esperienza.
Che cosa cerchiamo quando leggiamo? Che cosa pretendiamo da quell’esperienza che ci vede – in modo solitario – di fronte a una pagina?
Cerchiamo (a volte senza saperlo) di trovare il riflesso della nostra anima nelle pagine che leggiamo. Speriamo di trasmettere la generosità mostrata dalle anime nel Paradiso della Commedia, quando adottano tratti che Dante può riconoscere e con i quali poi può dialogare.
Lei scrive che il libro è un segmento di Dna da cui poter ricostruire un intero corpo. Il rapporto con esso è così importante, fondante?
Sì, lo penso. Siamo una specie che legge, sopravviviamo nel mondo grazie alle letture che facciamo di quel “secondo libro di Dio” (come la chiama Conrad de Megenberg nel XIV secolo) che è la Natura. Spesso ci sbagliamo, ma importa poco. Bisogna passare alla pagina seguente.
Oggi si è in sostanza modificata la condizione della lettura. Si legge sempre più per passare ad altro, incrociandosi con altro. Dove e come trovare la cura, l’attenzione che rende unico l’istante della lettura e irriproducibile il contatto del lettore?
Non esiste una formula magica per spingere alla lettura. La passione di un lettore può qualche volta servire come modello, ma il più delle volte scatta una sorta di clic inspiegabile per lo scambio alchemico tra libro e lettore. Ma in una società come la nostra, dove i valori sono quelli della rapidità e della facilità, il valore della lettura – feconda difficoltà e lentezza riflessiva – non è ben visto.
Non è una modificazione irreversibile che produce una altrettanto profonda modificazione delle nostre strutture percettive e cognitive?
Sicuramente: il nostro cervello sta cambiando come accade ogni volta che si apre la finestra di una nuova tecnologia. Spero che sia per il meglio.
Le parole sono diverse secondo il medium su cui le leggi. Che cosa cambia se leggiamo Il processo di Kafka su un eBook o lo ascoltiamo con l’audiolibro?
Il contesto cambia il testo. Questioni di gerarchia convenzionale, prestigio dell’edizione o della registrazione, anche della tipografia scelta, o il tono dato dalla voce che legge (e che leggendo, interpreta): tutto ciò modifica il testo stesso.
Si è impoverita l’attività di lettori, ha perduto la qualità più preziosa? È possibile leggere in modo critico i testi elettronici in potenza interattivi?
C’è interattività vera in un libro. Un libro si può cominciare dove vuoi, si può mettere in tasca e andare via, si può associare ad un altro. Invece la lettura di Internet è interattiva solo nel senso che i programmatori lo permettono: se prendo un testo, posso entrare in esso o cambiarlo se me lo permette il programma.
Come creare nei ragazzi immersi nell’infinita rete comunicativa lo spazio di silenzio in cui può trovare radici la lettura?
La sola cosa è dare l’esempio della nostra passione per la lettura, fare in modo che i libri siano a disposizione di tutti. Nella nostra società, dove è importante solo ciò che è produttivamente economico, il piacere senza difficoltà e senza complicazione, la rapidità, si cade spesso in contraddizione. Da una parte si dice “tu devi essere consumatore” e, dell’altra, “tu devi leggere”. Il lettore non è consumatore, fa una scelta aristocratica.
La sua “elegia” in Vivere con i libri non è nostalgica, non rassegnata, e con una convinzione essenziale: “Leggere sarà anche in futuro un atto di ribellione”. Lo conferma?
Certo. La lettura appassionata, profonda è, ai nostri giorni, il supremo atto di ribellione. Il lettore dice: “Io non sono come le pecore che vanno, faccio qualcosa di diverso, mi prendo il tempo per entrare in un libro, dentro il suo percorso. Se m’impegno, troverò qualcosa di profondo, qualcosa che è il riflesso di me stesso”.
OGNI VOLUME HA UNA STORIA
“I libri raccontano tutti una storia, non solo quella che c’è scritta dentro, ma quella che si portano dietro”. Nell’ultima opera di Manguel, Vivere con i libri, tutti gli amanti della lettura troverebbero numerosi spunti di identificazione. Un libro in cui riconoscersi, dunque, in cui vedere riflessa – come in uno specchio – la stessa passione dell’autore. Proprio in questo volume, infatti, Manguel dichiara il suo amore incondizionato per i libri, inseparabili compagni di vita, che lo hanno seguito sino in capo al mondo. E mai si sarebbe voluto trovare a dover rinunciare a parte di essi, a causa del trasloco dalla sua casa nella Loira ad un piccolo appartamento newyorkese. Quanto dolore nel dover scegliere quali libri portare con sé e quali lasciare?
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