L’emergenza sanitaria ha riportato al centro del dibattito pubblico il tema delle discriminazioni verso gli anziani. Per questo 50&Più ha voluto indagare le opinioni degli over 50 sui pregiudizi legati all’età.
Nel 2017, una ricerca inglese ha esaminato la percezione degli uomini britannici over 65 in merito all’ageism. Gli uomini si sentono discriminati per la loro età? Ci sono ambiti in cui percepiscono di essere trattati diversamente? Secondo i risultati dello studio, no. Gli intervistati, infatti, sostenevano di essere immuni da pregiudizi e stereotipi grazie ai loro atteggiamenti giovanili e al loro stile di vita attivo. Non solo! Secondo quanto emerso, i pensionati inglesi in buona salute ritenevano che gli unici colpiti da questo tipo di discriminazione fossero le donne, i senior ancora nel mondo del lavoro e gli anziani residenti in strutture e in Rsa.
All’interno dello studio si legge anche che i comportamenti discriminanti hanno un’origine psicologica: l’ostilità verso la vecchiaia deriverebbe dalla paura di un progressivo peggioramento e di un declino che si tende a spostare sempre su qualcuno “più vecchio di noi”. Questa rappresentazione ha caratterizzato per anni la nostra società, e in alcuni casi la caratterizza ancora, distorcendo l’idea dell’anzianità e associandola al decadimento del corpo e dello spirito. Un quadro che si è radicato in pratiche sociali, linguistiche e lavorative di cui spesso siamo vittime senza nemmeno rendercene conto. L’ageism, infatti, veicola pregiudizi e stereotipi che danno vita ad atteggiamenti o a vere e proprie forme di discriminazione personale e istituzionale. Lo sa bene chi si è trovato a cercare un lavoro dopo i 45 anni o chi, in questi anni, ha sentito tanto parlare di “rottamazione degli anziani”. Il caso più estremo, però, si è verificato proprio nei primi mesi di questo 2020, quando i numeri delle vittime del Covid-19 salivano, colpendo duramente la fascia degli over 60, e sempre più spesso sembrava si trattasse di un costo sociale accettabile se non toccava le altre generazioni.
In occasione della Giornata Internazionale degli Anziani, istituita dall’Onu nel 1990 e celebrata ogni anno il 1° ottobre, 50&Più ha voluto approfondire il tema e capire come i senior italiani percepiscono i pregiudizi e gli stereotipi sull’anzianità. Nel questionario, dedicato agli over 50 sono stati sondati alcuni aspetti della vita quotidiana, come le relazioni interpersonali e la sfera lavorativa, ma anche la percezione che i senior hanno delle loro possibilità di accedere a trattamenti medico-sanitari. A rispondere al questionario sono state 130 donne (43,2%) e 171 uomini (56,8%), per un totale di 301 persone la maggior parte dei quali provenienti dal Nord Italia. E proprio dal Settentrione della Penisola, dove il Covid ha colpito più duramente, sono arrivate risposte nette sulla percezione che gli over 50 hanno dei trattamenti riservati alla loro salute. Alla domanda “Ti è mai capitato di ricevere un parere medico che imputasse i tuoi problemi di salute solo alla tua età?” il 32% degli intervistati ha risposto “più di una volta”, soprattutto nelle fasce d’età tra i 60 e i 69 anni e tra i 70 e i 79. A riportare questo fenomeno sul territorio nazionale sono in particolare gli uomini, ma quando ci si concentra su coloro che hanno risposto “spesso”, la maggioranza è costituita da donne. Anche nelle Isole molti hanno risposto “più di una volta”, mentre al Centro sembra capitare più di frequente agli under 60.
Un tema ugualmente spinoso è costituito dall’accesso alle cure a cui è stata dedicata la domanda “Ti è mai capitato di non ricevere un trattamento medico a causa della tua età?”. Le risposte ricevute sono rincuoranti se si considera che il 92,4% delle persone ha sostenuto di non aver mai vissuto un episodio simile. Analizzando il restante 7,6%, però, si potrebbe pensare che coloro a cui è stata negata questa possibilità siano le persone più anziane. Eppure, chi ha riportato di essersi trovato in questa situazione almeno una volta sono donne under 60 e, in particolare, quelle del Centro Italia. I livelli di discriminazione percepiti, infatti, sembrano interessare di più le donne e gli under 60, anche in altri ambiti della vita. Nelle relazioni interpersonali, ad esempio, le intervistate hanno riferito con più frequenza di aver conversato con qualcuno che supponeva avessero problemi di udito o di essere state trattate con condiscendenza a causa della loro età. Anche al quesito “Ti è mai capitato di sentirti dire: sei troppo vecchio per queste cose?” il 13,1% del campione ha risposto “una volta”, il 29,2% “più di una volta” e il 3,3% “spesso”. Le risposte affermative sono state date soprattutto dalle donne e questa tendenza femminile è più sentita al Centro e al Sud, ma a stupire è il dato anagrafico. Coloro che si sono sentiti dire di non “avere più l’età” sono paradossalmente gli intervistati più giovani, mentre con l’avanzare degli anni questa percezione sembra scomparire totalmente.
Una spiegazione plausibile potrebbe essere legata alla graduale entrata nella terza età, con tutti i cambiamenti che comporta. Se fino a ieri eravamo noi ad alzarci sull’autobus per far sedere qualcuno più vecchio di noi, come ci sentiamo quando diventiamo noi quelli a cui viene offerto il posto? Episodi nuovi che possono mettere in risalto una distanza generazionale percepita dai più giovani nei confronti di chi è prossimo ai sessant’anni.
Una conferma che arriva anche dal sondaggio mondiale “Eterna Gioventù”, condotto lo scorso anno da Doxa in collaborazione con WIN, che ha cercato di analizzare la percezione di gioventù e vecchiaia nelle varie popolazioni del mondo. Secondo quanto affermato dagli intervistati, infatti, i traguardi più importanti sarebbero rappresentati dal quarantesimo e dal sessantesimo compleanno: il primo perché segna la fine della giovinezza, il secondo perché sancisce l’inizio della vecchiaia. Ecco perché i cinquantenni, stretti in questo limbo e orfani di una vera e propria categoria, sembrano più sensibili ad atteggiamenti o commenti che li fanno sentire “vecchi” anzitempo, mentre gli over 70 e 80, ormai abituati, sembrano esserne meno interessati. Un dato che si riscontra anche nel mondo del lavoro. Alla domanda “Ti è mai capitato di non ricevere una posizione lavorativa a causa della tua età?”, infatti, il 14,6% ha riportato di aver vissuto questa situazione almeno una volta. Tra quelli che hanno risposto “spesso”, inoltre, la maggior parte sono donne under 60. Una criticità che fa pensare al gender gap lavorativo, il divario di genere che vede una forte asimmetria occupazionale tra donne e uomini, e ad alcune componenti di sessismo ancora presenti nella nostra società. I livelli di discriminazione percepita, infatti, sono più alti per le intervistate che hanno riportato anche episodi durante i quali sono state vittime di derisioni, svalutazioni o aggressioni fisiche e verbali legate alla propria età.
Tutti questi aspetti possono incidere fortemente sull’autostima, sull’autopercezione e il benessere psicologico di donne e uomini senior. Additare gli over 50 come persone fragili, non adeguate alle richieste della società o, al contrario, bisognose di tutele non richieste può essere un’azione intrusiva e offensiva. Inoltre, etichettarli come popolazione vulnerabile può portare ad una profezia che si autoavvera, provocando negli anziani stessi una sensazione di vulnerabilità e inadeguatezza anche in situazioni di assoluta normalità. Le conseguenze possono essere molteplici, a partire da una deprivazione di opportunità e stimoli che potrebbero, invece, portare numerosi benefici.
Uno studio condotto negli Stati Uniti nel 2016 ha dimostrato come la presenza di stereotipi e pregiudizi legati all’ageism possano avere gravi ripercussioni anche sulla condizione economica di persone over 60. Basandosi su quanto riferito dagli intervistati, infatti, la discriminazione legata all’età percepita durante un anno intero è una delle cause di 17 milioni di casi di malattia, fra cui patologie cardiovascolari e respiratorie, che richiedono una spesa annuale di 63 miliardi di dollari.
Una società inclusiva è quindi anche una società più sana? Probabilmente sì, se si pensa a tutti i senior in pensione e in salute che continuano a giocare un ruolo chiave nelle relazioni sociali e produttive, diventando una risorsa nell’assistenza famigliare, nel mondo del volontariato e del lavoro. L’ageismo, come il sessismo o il razzismo, è un fenomeno che crea delle barriere tra un “noi”, costituito spesso dalle generazioni più giovani, e “gli altri”, usato in riferimento agli anziani, che devono essere abbattute.
Who Icope Handbook. Una guida per gli operatori socio-sanitari
In occasione della Giornata Internazionale degli Anziani dello scorso anno, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un pacchetto di strumenti per aiutare gli operatori sanitari e sociali a fornire una migliore assistenza alle persone anziane. Tra questi c’è anche Who Icope Handbook, un’app che fornisce una guida pratica per affrontare alcune condizioni tra cui le limitazioni della mobilità, la malnutrizione, la perdita della vista e dell’udito, il declino cognitivo e i sintomi depressivi, e offre suggerimenti sui compiti di assistenza e supporto sociale. L’obiettivo dello strumento è quello di accelerare la formazione degli operatori sanitari e sociali per affrontare meglio le diverse esigenze e peculiarità delle persone anziane.
Un progetto che si inserisce negli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, il programma sottoscritto dai governi dei 193 Paesi membri dell’Onu, che riconoscono uno sviluppo realizzabile solo con l’inclusione di persone di tutte le età. L’app è scaricabile sia per Android che iOS e, al momento, è disponibile in cinque lingue (inglese, francese, spagnolo, portoghese e russo).
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