Afrisio Ferretti. Agente rappresentante da cinquant’anni, con la passione per la scrittura. Ha partecipato a vari concorsi letterari toscani vincendo premi e riconoscimenti tra cui il primo premio al Concorso La Pergola di Firenze e il Bugiardino d’oro (sezione letteraria) nella località Le Piastre (PT). Vive a Pistoia.
Da qualche mese dedico un po’ più del mio tempo al Circolo del Golf. Vuoi per il ritmo forsennato del mio lavoro, sono un avvocato, vuoi per il periodo di inizio autunno con questi bei colori, ho proprio voglia di una sosta per perdermi nel nulla cercando di rilassarmi. Il circolo è davvero un posto giusto con quel bel verde, l’ideale per trovare un po’ di pace. Mi piace star ad ascoltare le persone che gironzolano qui attorno con i loro argomenti che svolazzano frivoli e senza che l’orologio mi detti il ritmo della giornata. E poi da qualche tempo a questa parte c’è una “lei” frequentatrice del Circolo che mi intriga più delle 18 buche; ha un gran bel fisico ed una personalità attraente, spero che qualcuno me la presenti. Purtroppo, non la conoscono neppure i miei due amici Gastone e Gigi che giocano con me e che sono soliti prendermi in giro in fatto di donne. Proprio per evitare discorsi troppo fuori dalle righe vado sempre prima di loro a fare la doccia. Mentre mi alzo sento dire: “Eleonora fissiamo per domani?”, è il suo maestro a parlare. Ho scoperto che si chiama Eleonora! L’indomani torno baldanzoso alla mia partita sul green anche se non sono al massimo della concentrazione e sovente sbaglio: un tiro va troppo lungo o troppo corto. Comunque, più o meno bene completo il percorso delle diciotto buche e mi accorgo che anche lei, la Eleonora, si sta avviando verso il bar. La lascio passare e da dietro la guardo: “OPS” … inciampo e vado a terra lungo e disteso. I commenti nel Circolo sono tutti per me, anche lei si gira e si accomuna alla risata generale. Dopo essermi cambiato entro al bar dove la ritrovo, lei sta consumando un the caldo, la sua tazza fuma ancora, ha una gonna corta molto aderente, una bella treccia di capelli biondi; mi avvicino al bancone e chiedo un chinotto, non freddo. Lei mi guarda e mi sorride, io ricambio facendo il segno del cin cin. Al momento siamo soltanto noi due al bar e mi è più facile presentarmi: “Piacere, mi chiamo Arturo, per gli amici Artù, come il Re”. “Ed io sono Eleonora, così anche per le amiche e senza titoli regali…”. “Uno di questi pomeriggi, se crede, potrei farle da partner, che ne dice?”, le propongo con voce suadente. Subito mi risponde: “E’ una idea, volentieri, anche perché il mio maestro si assenterà per un paio di settimane”. “Diamine, facciamo per sabato”, rispondo per non perdere l’attimo fuggente. Il venerdì, mentre vado in ufficio, mi viene l’idea di comprare una bella rosa rossa, ovvio per l’incontro che avrò con la Eleonora. La nascondo in un vaso di plastica nel bagno dell’ufficio, la riprenderò poco prima della consegna, semmai riuscirò a dargliela. Purtroppo, piove a dirotto alla mattina del sabato e resto in macchina con la rosa nel bagagliaio. Aspetto ma lei non si fa vedere, così tra folate di vento e pioggia molte foglie cadono sopra la mia auto, mi decido ad attivare l’accensione per andarmene e penso: “La rosa rossa la porto a mia moglie”. Così faccio e lei mi bacia teneramente, tanto da farmi sentire un po’ figlio di buona donna. Dopo alcuni altri incontri con Eleonora provo a combinare una cena con lei; infatti, nel tempo c’è stata una girandola di bla, bla, bla, tra crodini e the vari, purtroppo per me senza concludere un fico secco. Finalmente arriva come un fulmine a ciel sereno una informazione per me strategica: vengo a sapere che suo marito parte per Milano, starà fuori per un paio di giorni. “E dove sarebbe quel localino?”, dice Eleonora, mentre sta affiorando quel mio problema che, anche professionalmente parlando, non è il massimo per me, ovvero la balbuzie. Anche sforzandomi mi esce questo: “La-la-Fia- Fia-mma”. Lei strabuzza gli occhi ma non dice niente. Il locale è carino, i miei sguardi sono solo su di lei.
Il nome del locale è proprio azzeccato perché dentro di me c’è una “fiamma” che brucia alla grande. Lei è ancor più bella e affascinante di sempre, con un bel decolté, capelli sciolti e mossi, simpatica al punto giusto. A fine cena usciamo entrambi sobri al 50%; ho pagato ben due bottiglie di Brunello di Montalcino, qualche bicchiere in più l’ho senz’altro bevuto, ma lei non ha rinunciato ai suoi. Così, sperando di non incontrare i controlli della Stradale, le propongo di andare a vedere Firenze dall’alto. Dopo poco siamo al buio di uno spiazzo che fa da terrazza sull’Arno, sul Ponte Vecchio e sulla Cupola del Brunelleschi con a fianco la Torre di Giotto; le stelle stanno a guardare ed io dopo l’incanto del firmamento punto ad incantare lei. Nel silenzio del mio SUV mi chino verso lei e mentre cerco di baciarla mi rimane una tasca dei pantaloni nell’aggancio delle cinghie, che nel frattempo ho slacciato e con l’irruenza di quel gesto mi si scuce la stoffa. Il rumore dello strappo la fa ridere sonoramente e quel mio primo tentato bacio scivola via senza la giusta poesia. È deciso, via alle polveri! Lei fa la smorfiosa: “Non vorrei che capitasse qualcuno”. Ma muove il sedile con il comando elettrico e si sdraia. Il mio ritmo cardiaco sale e sale. Il Viagra non perdona. Il SUV ondeggia e le nostre voci si fanno più alte, chiudo i finestrini per salvaguardare la privacy e poi, ecco finito. Un paio di minuti. Ancora ansimanti ci ricomponiamo. “Cavolo, dice lei, sei molto veloce”. Penso al Viagra: “Forse era meglio se non lo prendevo”.
“Drin Drin, – suona la sveglia, sono le 7,30, mia moglie mi scuote e mi chiede che cosa stessi sognando, dice che mugolavo così tanto; non ho voglia di rompere l’incantesimo di quel sogno, comunque le rispondo: “Ho avuto un sogno senza senso” e mi ritrovo intristito improvvisamente. Vania va a preparare il caffè. Mentre continuo a farfugliare tra me scivolo sul pavimento del parquet incerato il giorno prima: “Annamo bene! Proprio un bell’inizio di giornata!”. Mentre mi infilo i pantaloni avverto una risata provenire da fuori, mi affaccio alla finestra e vedo in strada una bella signora che è attaccata al suo cellulare. Mi va di riflettere: “Si chiamerà Eleonora? Come mi piacerebbe rientrare in quel mio sogno”, ben sapendo che non c’è mai riuscito nessuno a riprendere il filo di un sogno bello o brutto che fosse. Il clacson in strada suona tre volte, i miei amici sono giù ad aspettarmi, chiedo un attimo per il caffè e poi di corsa mi tuffo dentro l’auto ; questa volta non ci sono le mazze da golf, dobbiamo recarci in tribunale, mi aspetta una giornata di fuoco, questi due miei amici ne combinano sempre una dietro l’altra, questa volta sono stati sorpresi dal guardiacaccia perché cacciavano con la neve e non si può. Il giudice è appena arrivato, si chiama Eleonora Biagi; “E’ uguale a lei!”, dico appena la vedo; Gastone e Gigi si guardano e mi chiedono “Uguale a lei… chi?”. “Niente”, rispondo ai due, guardo le mie carte e dico fra me “Qui qualcosa non quadra!” – Semplicemente è ormai diventato il mio chiodo fisso.