«Gli adolescenti stanno male e spesso non sanno dire perché. Solo l’8% di loro si dichiara felice. Un numero spaventosamente basso»: così Carla Garlatti, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, indica e rilancia una delle principali urgenze, in vista della Giornata internazionale del 20 novembre. Il disagio mentale tra bambini e bambine, ma soprattutto tra ragazzi e ragazze, è grave e diffuso e richiede un’attenzione che continua ad essere inadeguata e insufficiente da parte del mondo degli adulti da un lato, delle istituzioni dall’altro.
A certificare quanto il problema sia reale e importante c’è la consultazione pubblica “Salute mentale. Come stanno i ragazzi”, che proprio l’Autorità garante ha voluto, realizzato e diffuso nelle scorse settimane. Circa 7.500 studenti delle scuole superiori, di cui oltre la metà sedicenni, hanno risposto a un questionario a risposta multipla, elaborato con il supporto di un comitato scientifico.
Non è la prima volta che l’Autorità garante rivolge l’attenzione al tema del disagio mentale: «Già tre anni fa – ricorda Carla Garlatti – abbiamo iniziato uno studio sulla salute mentale dei ragazzi, insieme all’Istituto Superiore di Sanità, per valutare, in quel caso, le ricadute della pandemia. Ora, ci siamo domandati come stiano i ragazzi oggi, nel momento in cui il ricordo della pandemia si è affievolito, ma i suoi effetti evidentemente no: i dati confermano un malessere ancora diffuso». Il 51,4% dei ragazzi intervistati dichiara infatti di soffrire in modo ricorrente di stati di ansia o tristezza prolungati. Il 49,8% lamenta un eccesso di stanchezza. Il 46,5% riconosce di provare nervosismo. E ancora: il 29% ha frequenti mal di testa e il 25,4% non riesce a dormire bene. «Se il 35% si definisce sereno, solo l’8% si dichiara felice: questo è un dato che mi ha particolarmente colpito», commenta Garlatti. Ci sono anche tanti giovani (26,4%) che dicono di aver avvertito nell’ultimo anno disagio nei confronti delle relazioni in presenza (26,4%) e sono ancora diffuse abitudini emerse durante il periodo pandemico, come studiare meno o in maniera discontinua (40,4%), dormire poco o tardi (33,3%), fare poca attività fisica (31,8%) e mangiare troppo o troppo poco (31,7%).
Non mancano le buone notizie. Tra queste, la ripresa delle relazioni sociali, che durante il periodo pandemico e subito dopo erano state rimpiazzate da quelle virtuali: la maggior parte dei ragazzi intervistati (55,9%) preferisce vedere gli amici dal vivo, mentre solo il 6,9% preferisce le relazioni online. «Un dato, quest’ultimo, che ritengo comunque troppo alto per ragazzi e ragazze di questa fascia d’età. Dovremmo interrogarci e approfondire». Complessivamente, dall’indagine emerge dunque il ritratto di un’adolescenza che richiede attenzione e soprattutto ascolto. Eppure, dei giovani si parla poco e male: «Solo la cattiva notizia fa notizia, le storie belle passano sotto silenzio: e così si parla solo di adolescenti per lo più quando compiono atti illeciti, manifestano la loro rabbia, si comportano con violenza».
Occorre dunque parlare meglio di adolescenti, ma soprattutto parlare di più con loro. E ascoltarli sempre, rendendoli partecipi. È questo uno degli appelli che, una volta ancora, Carla Garlatti rilancia con forza: «I ragazzi e le ragazze devono sentirsi parte attiva di una società che li ascolta e li tratta come ‘adulti’, prendendo sul serio le loro esigenze e le loro richieste». Così come per gli anziani il benessere fisico e mentale è positivamente correlato con la partecipazione sociale, così anche i giovani e i giovanissimi possono trarre beneficio dal coinvolgimento attivo nella comunità: «Gli anziani hanno bisogno di sentirsi ancora parte della società, i giovani, al contrario, non sentendosi ancora parte della comunità degli adulti, hanno bisogno di essere coinvolti. In ambito europeo, tutte le strategie sono ormai partecipate: così anche in Italia, tutte le decisioni che riguardano i ragazzi dovrebbero tener conto di quello che dicono e che chiedono».
L’impressione, tuttavia, è che il nostro paese sia ancora molto lontano da questo obiettivo: «In un’altra nostra consultazione, “Il futuro che vorrei”, l’80% dei giovani ha dichiarato che le problematiche dei minorenni non sono al centro delle scelte politiche – ricorda Garlatti -. Sicuramente esistono esempi virtuosi di partecipazione, soprattutto a livello locale. Penso ai comitati studenteschi o ai Consigli comunali dei ragazzi e delle ragazze. Ultimamente, abbiamo realizzato, come Autorità garante, la “Guida alla partecipazione attiva di ragazze e ragazzi. Una bussola per orientarsi”, proprio per promuovere e accompagnare questo processo. Molto ancora però deve essere fatto per cambiare mentalità e cultura: noi adulti non abbiamo solo da insegnare ai più giovani, ma tanto possiamo imparare da loro, soprattutto se parliamo di futuro».
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