In prima linea nell’azione di contrasto alle mafie. Tra i volontari Pico Di Trapani: «Non è vero che chi si ribella viene ammazzato». Ad abbracciare il progetto commercianti e comuni cittadini
“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. È questa la frase che, nella notte tra il 28 e il 29 giugno 2004, viene scritta su centinaia di adesivi attaccati tra le strade di Palermo. E oggi è ancora un messaggio forte di lotta al racket. L’iniziativa di sette ragazzi palermitani, amici e compagni di studio, diventa una scintilla per riattivare la coscienza collettiva e il senso di comunità. Nasce da qui ‘Comitato Addiopizzo’.
Quando i giovani decisero di aprire un pub in centro a Palermo scoprirono che tra i rischi d’impresa c’era anche il pizzo e l’eventualità di dover pagare e sottostare a Cosa nostra. «Fu una doccia fredda. Sappiamo che la presenza della mafia è dura da scalfire. Però, quella fu la molla che ci fece riflettere», racconta Pico Di Trapani, volontario e componente dell’organo direttivo di Addiopizzo. Da quel momento, dopo i primi adesivi anonimi che iniziarono a «sbattere in faccia ai palermitani questa realtà che tutti noi sappiamo, ma che ignoriamo voltandoci dall’altra parte», continua Pico, le iniziative continuarono a viso scoperto e a testa alta. «Siamo nati nel 2004. Il 2005 e 2006 sono stati gli anni dell’entusiasmo con gli adesivi, i lenzuoli su viale della Regione Siciliana e al festino di Santa Rosalia con scritto ‘Santa Rosalia, liberaci dal pizzo’. Per tutti eravamo i ‘ragazzi di Addiopizzo’ che ispirano simpatia, appoggio incondizionato. E questo è stato estremamente utile – spiega Di Trapani -. Poi, quando negli anni abbiamo intrapreso battaglie, polemiche contro casi di collusione, i ‘ragazzi di Addiopizzo’ è diventata un’espressione trattata con superiorità: ‘I ragazzi si sono montati la testa. Mettiamoli a posto’. Siamo diventati necessariamente antipatici, insomma. Anche perché abbiamo sempre puntato il dito contro noi stessi: come popolo siciliano, siamo responsabili di indifferenza». E aggiunge: «Negli anni, però, la partecipazione è stata ampia. È stato facile dialogare con gli studenti a scuola o con gli universitari. Se all’inizio eravamo una presenza nuova, ora siamo una presenza solida, radicata».
Dai primi adesivi per strada si arriva a quelli sulle vetrine dei negozi con il logo di Consumo Critico, nato nel 2006. Uno strumento di contrasto al racket che coinvolge, tutt’ora, i commercianti che denunciano le richieste di pizzo e i clienti, incoraggiati ad un consumo responsabile. «Questa è stata la nostra strategia per creare un vasto fronte antimafia, che fosse efficace e di massa ma non rischioso, visto che fare acquisti non ti espone a ritorsione. Volevamo dimostrare che noi siamo dalla parte di chi denuncia. E con l’adesivo volevamo incoraggiare i palermitani a supportare questi negozianti. In seguito, è diventato uno straordinario deterrente. L’adesivo lo vedevano anche i mafiosi, e proprio i mafiosi non entravano più in quei negozi. Lo abbiamo scoperto, anni dopo, da intercettazioni e dai collaboratori di giustizia. Questo per noi è stato un riconoscimento», precisa Pico.
Un movimento dal basso, che ha avviato un inedito fronte di impegno per la legalità, ragionando sul ruolo di ognuno nella lotta al racket e alla mafia. «Riguardo al pizzo, e alla mafia in genere, reagiamo pensando che non ci coinvolga direttamente. Perché magari non ho un’attività commerciale o non sono vittima di estorsione, quindi non mi riguarda. I mafiosi però vivono in quel contesto e prendono i soldi di tutti, e con quei soldi loro diventano più forti e noi restiamo comunque coinvolti – afferma con chiarezza Pico Di Trapani -. Libero Grassi fu assassinato per questo. Non è vero che chi si ribella viene ammazzato. Chi si ribella viene ammazzato se il contesto in cui vive non manifesta vicinanza, non condivide il suo gesto».
In questi vent’anni il fenomeno del racket è cambiato, e sono cambiate anche le denunce. Se gli ultimi quattro anni hanno registrato un calo generale delle denunce, complice la crisi post pandemia, ha fatto però clamore il caso di due operai di Palermo che hanno testimoniato contro gli estorsori dell’impresa per cui lavorano ancora oggi, supportati in fase di processo da Addiopizzo. «È il punto più avanzato di un lavoro che va avanti. Un evento storico che può aprire un nuovo fronte. Abbiamo invitato i sindacati a un’interlocuzione, a prendere posizione – commenta Pico Di Trapani -. Oggi si denuncia anche ‘scavalcandoci’, recandosi dalle forze dell’ordine, perché c’è più fiducia. Cosa nostra è stata messa in ginocchio da denunce e arresti e ha diminuito la pressione sui commercianti. Poi, le denunce diminuiscono anche perché alcuni operatori hanno rapporti storici di collusione con la mafia. Se lo facessero, denuncerebbero sé stessi».
L’anniversario porta nuove sfide. «Nel 2004 non avevamo un piano, ci siamo buttati in mare aperto. La sfida dei prossimi dieci anni è non perdere l’entusiasmo, l’attaccamento a Palermo e al contesto socioeconomico. Senza mollare un secondo», annuncia Pico.
© Riproduzione riservata