Se fino a qualche anno fa le mascherine chirurgiche erano uno strumento utilizzato prettamente in ambienti lavorativi, oggi sono l’emblema dei quindici mesi appena passati. Dal 28 giugno, però, potremo farne a meno almeno all’aperto.
Lo ha confermato lunedì sera il ministro della Salute, Roberto Speranza. Da lunedì 28 giugno chi vive nelle cosiddette “zone bianche” potrà fare a meno della mascherina all’aperto. L‘indicazione arrivata dal Comitato tecnico-scientifico, però, prevede ancora alcuni accorgimenti. I dispositivi di protezione personale, infatti, andranno comunque portati con sé per essere indossati nei luoghi chiusi e in situazioni a rischio assembramento. È obbligatorio, inoltre, indossare le mascherine sui mezzi di trasporto, nei locali e mantenere il distanziamento interpersonale se non si è congiunti. Sulla decisione ha influito anche la percentuale di vaccini somministrati in Italia che, al momento, vede oltre il 53% della popolazione con almeno una dose somministrata e circa il 27% con il ciclo completato.
La mascherina, simbolo della lotta al Covid
Ma quello alle mascherine sarà un addio definitivo? Con la campagna vaccinale in pieno svolgimento e l’estate che avanza, sono in molti a sperare di appendere i dispostivi al chiodo una volta per tutte. Alla fine dello scorso anno, d’altronde, tra FPP2, mascherine chirurgiche e dispositivi in stoffa, le famiglie italiane avevano già speso 98 milioni di euro solo in farmacie e parafarmacie. A rivelarlo è stata IQVIA, società leader nell’elaborazione e analisi dei dati in ambito healthcare, che ipotizza una spesa simile anche in canali di vendita come supermercati e tabaccai.
Le capsule del tempo: raccoglitori di oggetti
La mascherina è presto diventata il simbolo della lotta al Covid. E l’idea di potercene liberare rende reale la speranza di essere alla fine della “battaglia”. Molti di noi auspicano di buttarle al più presto o magari di tenerne solo una, giusto per ricordare quello che è stato. Per mostrarla ai nipoti un domani raccontando del lockdown, dei vaccini, dei contagi e di molto altro.
Un po’ come fece Thornwell Jacobs, rettore dell’Università di Oglethorpe, ad Atlanta, quando nel 1936 fece costruire una “cripta della civiltà”. Una vera e propria stanza sigillata contenente fusti nei quali, ancora oggi, si trovano i cimeli che raccontano un’epoca. Abiti, accendini, radio, grammofoni e molto di ciò che veniva più utilizzato negli anni ’30. Un’idea nata con il solo scopo di restituire al futuro una testimonianza che andasse ben oltre la parola scritta o le immagini.
Così farà anche il comune di Corbetta, a Milano, che a settembre vedrà l’inaugurazione della prima capsula del tempo a memoria dell’emergenza Covid-19. Un baule, che sarà poi sigillato e riposto nella biblioteca comunale, dove tutti potranno depositare un ricordo fatto di lettere, mascherine, illustrazioni e pensieri di quanto vissuto tra il 2020 e il 2021. La data di riapertura della capsula sarà il 19 marzo 2050, un giorno dopo la Giornata Nazionale delle Vittime del Coronavirus.
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