Adesso tocca a Carlo prendere il suo posto. Compito non facile per l’eredità (anche di immagine) che ha ricevuto dalla Regina. E c’è già qualcuno pronto a criticarlo, per non aver scelto di abdicare subito in favore di suo figlio William
A molti disturba parlare di monarchia, anche quando si tratta di monarchia parlamentare. Altri invece subiscono una sorta di fascinazione verso le famiglie reali, misteriosamente attraenti indipendentemente dai meriti o demeriti dei loro componenti. Tutti oggi parlando della Regina, si riferiscono a una signora di 96 anni che ci ha lasciati lo scorso 8 settembre.
Di lei, nel secolo che ha vissuto, nei suoi settant’anni di regno, si sono scritte infinite cose, riproposte nell’ultimo mese per celebrarne la scomparsa. Composta, ironica, sempre vestita con tailleur color pastello abbinati all’immancabile cappellino.
Su questi aspetti possiamo essere tutti d’accordo, oltre al fatto che con uno stile coerente nel tempo ha vissuto la sua carica, che ad alcuni sembra lo sterile vessillo di epoche passate.
Ci lascia Elisabetta, che in quanto icona non verrà scordata, e le subentra Carlo, che di iconico ha ben poco. Finita la sua epoca, inizia quella di Carlo III, attuale re del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e degli altri quattordici reami del Commonwealth. Carlo è diventato re a 73 anni, dai suoi primi passi come monarca pare abbia un approccio diverso e certamente un altro stile rispetto alla madre. I suoi due giovani figli e le rispettive consorti rimangono sullo sfondo.
Qualcuno ha sperato in un passo indietro dell’erede al trono, non sarebbe stato il primo ad abdicare nella casa reale, per dare spazio al più giovane e meno chiacchierato William. Qualcuno ha pensato, peccato non sia già il turno di William. Mi sono stupita nel trovarmi anch’io con questo pensiero, perché mi sono chiesta se avesse un nesso con l’età anagrafica di entrambi. È possibile. Forse questo elemento mescolandosi ad altri ha rafforzato il fugace desiderio che fosse il figlio a ricoprire quel ruolo simbolico al posto del padre.
Nel caso avrei commesso, seppure solo mentalmente, una forma di discriminazione per età: lo chiamano ageismo. In questo mese che ricorda le persone anziane con ben due appuntamenti (la giornata mondiale ad esse dedicata e la festa dei nonni) vale la pena fermarsi a riflettere anche solo un istante sul nostro personale atteggiamento riferito alla terza età.
In ogni contesto, lavorativo o familiare che sia, le generazioni si confrontano e scontrano per passaggi di testimone che sembrano a volte tardivi, in altri casi eccessivamente affrettati. I ruoli vengono ricoperti a volte per amore e tante altre solo per forza o per dovere. Valutare le persone sempre e solo per le loro azioni, per i comportamenti è un esercizio essenziale che dobbiamo compiere ogni giorno: non possiamo farci condizionare da età, genere, orientamento sessuale, credo, provenienza geografica, condizioni economiche…
Se Carlo o chiunque altro, uomo o donna che sia, non incontrano le nostre simpatie, auguriamoci e lavoriamo perché questo non dipenda mai, in alcuno modo, da uno di questi elementi.
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