Si è spento questa mattina a 95 anni dopo un aggravarsi delle sue condizioni. È stato un fine teologo, un uomo capace di predicare in modo semplice i temi più complessi della fede, un pontefice interessato alla condizione degli anziani.
Molti lo ricorderanno per quelle dimissioni annunciate all’improvviso l’11 febbraio del 2013, ma Joseph Ratzinger – 256° pontefice di Roma con il nome di Benedetto XVI – prima di quella rinuncia è stato un profondo riformatore della Chiesa e un grande innovatore della comunicazione papale. Era nato a Marktl, un piccolissimo comune della cattolicissima Baviera, in Germania, il 16 aprile del 1927. Il suo era un contesto familiare come tanti per l’epoca: il padre era un agente di polizia, la madre una cuoca.
Ratzinger prese i voti sacerdotali il 29 giugno del 1951 e si addottorò in teologia con una tesi su sant’Agostino. Venne abilitato alla docenza dopo una tesi su san Bonaventura, insegnando poi alle università di Frisinga, Bonn, Muenster, Tubinga, Ratisbona. Lungo il suo percorso sacerdotale, oltre ad aver ricoperto la figura di esperto al Concilio Vaticano II, nel 1977 venne nominato dapprima arcivescovo di Monaco e poi cardinale, posizione quest’ultima con cui partecipò sia all’elezione di papa Luciani che a quella di papa Wojtyla. Nel 1981 Giovanni Paolo II lo elesse prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ma la profonda conoscenza filosofica e teologica lo portarono a ricoprire – tra le altre cose – anche la carica di presidente della commissione per la preparazione del Catechismo della Chiesa cattolica.
Un raffinato teologo e un uomo timido
Joseph Ratzinger era un raffinato teologo e allo stesso tempo un uomo timido, ma aveva un dono: sapeva ascoltare. Possedeva una grande capacità in questo senso, così come quella di predicare in modo chiaro su temi piuttosto complessi. Da quelle elezioni del 19 aprile 2005, in quasi otto anni di pontificato incrociò le vite di milioni di persone, viaggiò tantissimo, scrisse numerose encicliche per rinnovare la dottrina sociale della Chiesa. Povertà, Africa, giovani, ecumenismo, annuncio della fede al mondo secolarizzato, lotta alla pedofilia nella Chiesa furono sempre al centro del suo pontificato. Così come la condizione degli anziani.
È bello essere anziani!
Il tema dell’anzianità e quello del valore degli anziani nella nostra società non sono sfuggiti alle riflessioni di papa Benedetto XVI. Nel corso del suo pontificato ha descritto con altre parole quella che papa Francesco ha definito la cultura dello scarto, interrogandosi sul significato stesso della vecchiaia: «È bello essere anziani! In ogni età – diceva Joseph Ratzinger – bisogna saper scoprire la presenza e la benedizione del Signore e le ricchezze che essa contiene. (…) Abbiamo ricevuto il dono di una vita lunga. Vivere è bello anche alla nostra età, nonostante qualche acciacco e qualche limitazione».
Benedetto XVI aveva compreso bene la percezione ambivalente della longevità, da una parte considerata «una benedizione di Dio», un dono da apprezzare e valorizzare, ma dall’altra sporcata da una società, dominata dalla logica dell’efficienza e del profitto. Aveva capito come la società considerasse gli anziani non produttivi, inutili. Percepiva la sofferenza degli emarginati, di chi viveva lontano dalla propria casa o nella solitudine. Pensava alla necessità di agire con maggiore impegno, iniziando da famiglie e istituzioni, per fare in modo che gli anziani rimanessero nelle loro abitazioni.
La vecchiaia portatrice di sapienza, un dono per approfondire il rapporto con Dio
Ma la vecchiaia per papa Benedetto XVI era anche molto altro. Era portatrice di sapienza e di una grande ricchezza, qualcosa di così importante che il modo in cui una società tratta i suoi anziani ne definisce il grado di civiltà. Nella fragilità della vecchiaia la vita non perde mai il suo valore e la sua dignità, perché la vecchiaia «è un dono anche per approfondire il rapporto con Dio» iniziando dalla preghiera. L’anziano così diventa intercessore «presso Dio, pregando con fede e con costanza» e pregando «portare in questa nostra società, spesso così individualista ed efficientista un raggio dell’amore di Dio».
(Foto apertura: Gasper Furman/Shutterstock.com)
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